Michel Onfray (foto LaPresse)

C'è un edonista a Raqqa. Il caso Onfray

Giulio Meotti
La morale come banalissimo calcolo aritmetico, dove conta soltanto la fredda conta dei morti. L’occidente cristiano è decadente e fra l’islamista che sgozza e lo stato che bombarda non c’è differenza. Ecco perché il sessantottino Michel Onfray va forte nei siti dell’Isis.

Era un bel po’ che non si sentiva quell’espressione: “Utile idiota”. Pare che sia stata inventata cinicamente dal maresciallo Tito per indicare i fiancheggiatori. Altri dicono che la coniò Lenin per schernire i compagni di strada, quelli che per convenienza flirtavano con l’Urss glorificandola, i vari Romain Rolland che banchettavano con i cekisti sovietici. L’Express l’ha rispolverata per Michel Onfray, definito dal settimanale francese “l’utile idiota dell’islamismo”.

 

Quando il suo “Trattato di ateologia” venne pubblicato nel 2005, Michel Onfray non avrebbe mai immaginato che, dieci anni dopo, sarebbe diventato testimonial del gruppo jihadista Isis. Eppure è quello che è successo. Il 21 novembre 2015, una settimana dopo le stragi di Parigi, Onfray è apparso in un video di propaganda dello Stato islamico. Strana consacrazione. In un’intervista pochi giorni dopo i terribili attentati al Bataclan e ai bistrò, Onfray, l’idolo del ceto medio riflessivo europeo con il suo individualismo bon à tout faire, aveva spiegato che una “tregua potrebbe essere firmata tra l’Isis e la Francia”. A coronare questa nuova Monaco manca soltanto il politico preferito di Onfray, Jean-Pierre Chevènement, nei panni di Edouard Daladier.

 

Destino che accomuna Onfray a un altro mandarino, Noam Chomsky, che per via dei suoi attacchi alla politica americana finirà nei discorsi di Osama bin Laden. Il celebre linguista aveva detto che il bombardamento di una fabbrica chimico-farmaceutica nel Sudan, ordinato da Bill Clinton dopo un altro attentato con morti americani, fu un atto di terrorismo peggiore di quello di al Qaida a Manhattan. L’argomento apparve orribile e indifendibile, ma era anche molto seducente e si insinuò in un pezzo cospicuo dell’opinione pubblica occidentale, per rimanere lì. La morale come banalissimo calcolo aritmetico, dove conta soltanto la fredda conta dei morti.

 


Noam Chomsky (foto LaPresse)


 

Michel Onfray ha appena rilasciato una intervista a Famille Chrétienne. “Dov’è la differenza fra uccidere vite innocenti di donne, bambini e anziani, con il coltello del terrorismo o da un esercito di stato?”, ha detto. “Queste guerre neocoloniali condotte dagli Stati Uniti, con il supporto della Francia, a partire dal 1991, hanno causato la morte di quattro milioni di musulmani”. Onfray ha poi parlato di “stato sotto forma barbarica”.

 

Lo ha ripetuto anche al settimanale Point: “Questa guerra va inscritta nella lunga lista di guerre che la Francia conduce dal 1991 insieme agli Stati Uniti contro i paesi musulmani. Hanno fatto quattro milioni di musulmani morti. Nessuno dichiara una guerra senza ragione”. Che succede a Michel Onfray? Come ha fatto la star ateistica dei salotti, il grande edonista teorico del “materialismo sensualista”, dell’“utilitarismo giubilatorio” e della “metafisica della sterilità contro il dovere della riproduzione”, a diventare lo spot di fanatici tagliagole?

 

Onfray va ripetendo che la civiltà occidentale è “morta” (sta per pubblicare mille pagine dal titolo “Décadence”). Così nei giorni scorsi Onfray è andato in Polinesia, sulle tracce delle civiltà perdute, per “riflettere sulla questione della decadenza”, a domandarsi “come nasce, vive e muore una civiltà”.

 

Senza dubbio, vi è in Onfray un piacere a “pensare contro”. Senza dubbio i suoi attacchi al “pensiero unico” lo hanno smarcato dalle schiere di intellettuali di sinistra. Senza dubbio Onfray ha voluto scuotere le coscienze con il libro “Pensare l’islam”. Però ha ragione il premier Manuel Valls quando lo accusa di “aver perso la bussola”. “Valls è un deficiente!”, gli ha risposto il filosofo.
Ai microfoni di Europe 1, Raphaël Enthoven ha definito le parole di Onfray “una benedizione per l’Isis”. Se Onfray chiede una tregua con lo Stato islamico, è perché ritiene che la Francia sia responsabile di ciò che gli accade, perché secondo lui “l’atto terroristico è l’ultimo anello di questa catena di partenza”. Tesi che Onfray ha ribadito nel libro “Pensare l’islam”: “Se guardiamo ai fatti storici e non alle emozioni, il primo ad aggredire è stato l’occidente”, ha detto.

 

La Francia sta raccogliendo ciò che ha seminato. E’ il ritorno della dialettica hegeliana aggiornata dal grande spirito libertino e che permette di rendere i massacri intelligibili ma, in definitiva, anche scusabili. Naturalmente gli islamisti uccidono, massacrano, ma non è necessariamente colpa loro dal momento che, gli occidentali, questi affaristi liberal-capitalisti senza valori etici, li provocano, li attaccano. E’ la vecchia tesi di Sartre nella prefazione a Frantz Fanon: “Abbattere un europeo è prendere due piccioni con una fava, sopprimere insieme oppresso e oppressore”.

 

Più volte Onfray ha dato l’impressione di trovare delle scuse per l’Isis, indicando una “islamofobia” francese, biasimando “questa politica aggressiva nei confronti dei paesi musulmani”. “E’ una guerra condotta dall’islam politico con altrettanto acume dell’occidente, ma con meno armi o con armi diverse dalle nostre – coltelli e non portaerei, Kalashnikov da cinquecento euro e non droni da milioni di dollari. Hanno una loro precisa visione della storia, cosa di cui noi siamo oggi incapaci, accecati dal nostro materialismo triviale che obbedisce ai trucchi elettorali, alle mafie del denaro, al cinismo economico, alla tirannide dell’attimo mediatico”.

 

E’ presto spiegato il motivo per cui il filosofo utilitarista gode di tanta popolarità nella filiera francese dell’Isis, nonostante il suo status di “miscredente” militante. Lo ha spiegato il giornalista David Thomson, uno specialista di movimenti jihadisti. Durante un’intervista a France Inter, Thomson ha detto che Onfray sta diventando uno dei “beniamini” dell’Isis: “Onfray è tradotto in arabo, è condiviso su tutti i siti pro Isis”.

 

Come ricorda France 24, la fama di Onfray negli ambienti jihadisti non è recente. Parlando con Jean-Jacques Bourdin nel 2013, Onfray aveva difeso il diritto degli islamisti di applicare la sharia in Mali. “Li massacriamo e allo stesso tempo vorremmo che queste persone fossero gentili?”, si chiese Onfray. E ancora: “Non dobbiamo fare la legge nei paesi musulmani”.

 

Partigiano di un “souverainisme de gauche”, a volte rosso e a volte marrone, rosso-marrone, Onfray è il filosofo francese più letto al mondo e ha detronizzato dalle classifiche del pensiero Michel Serres, Michel Foucault e Jean-Paul Sartre. Onfray occupa oggi nel dibattito pubblico la figura dello sprezzante di professione. Quest’autoproclamato erede di Epicuro e La Mettrie, ebbro di Lumi e di Sessantotto incompiuto, con il suo celebre “Trattato di ateologia” ha venduto 330 mila copie, cui ha fatto seguire un pamphlet contro Freud, uno dei suoi ottanta libri tradotti in quasi trenta lingue. Novello Foucault, Onfray ha creato l’Università Popolare di Caen nel 2002 e le sue classi sono frequentate da mille persone.

 

Onfray non è un marxista, ma un libertario edonista sullo stile di Fourier, socialista francese poetico, gioioso, gaudente. Per Onfray, tutto il ciarpame giudaico-cristiano impedisce la libera fruizione amorosa e la “bioetica prometeica” modulata in tutte le possibili manifestazioni: “Clonazione riproduttiva e terapeutica, maternità postmenopausa, selezione degli embrioni, utero artificiale, eugenismo, innesto della faccia, chirurgia transessuale, procreazione medicalmente assistita, eutanasia, generazione post mortem” e via rallegrandosi.  

 

Nelle sue analisi sull’Isis e la guerra, Onfray associa una colpa morale a un errore geopolitico, come se fosse lecito lasciare a ideologie oscurantiste tagliare le mani ai ladri e lapidare le donne in cambio della nostra “pace”. Il cinismo non è praticabile né dai governanti né è difendibile dagli intellettuali. Per questo la rivista La Règle du Jeu ha definito la visione di Onfray “un misto di pacifismo senza gloria e dialettica senza cuore e senza ordine”.

 

In un articolo dopo la campagna francese in Mali, Onfray ha scritto: “Se i diritti dell’uomo fossero la vera ragione degli attacchi francesi, condotti al fianco degli Stati Uniti, perché non dovremmo attaccare anche gli altri paesi che violano i diritti dell’uomo e il diritto internazionale?”. Il filosofo indica un possibile obiettivo: “Israele, che da tempo immemore le risoluzioni dell’Onu condannano per la sua politica di colonizzazione dei territori palestinesi”. Il gran rabbino di Francia, Haïm Korsia, lo ha attaccato duramente sull’Express.

 

Michel Onfray riconosce che siamo in guerra. Ma questa guerra, ripete, l’abbiamo iniziata noi sotto George W. Bush. Onfray non lo sa, e in ogni caso non ne vuole sapere, che ci sono stati più di tremila morti l’11 settembre 2001 a New York. Ma erano solo americani… E se gli obietti che “l’Isis uccide persone innocenti”, il filosofo ti risponde: “Anche noi abbiamo ucciso persone innocenti”. Ecco la perfetta uguaglianza Isis-occidente. Barbari contro barbari. Ma dove ha preso Onfray la cifra di quattro milioni di morti islamici per mano dell’occidente?

 


Truppe americane in Afghanistan nel 2001


 

Un rapporto di 97 pagine prodotto nel marzo 2015 dal gruppo di Medici per la responsabilità sociale, una ong con sede a Washington onorata di aver ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 1985, ha posto molto più in basso la cifra delle vittime in Iraq e Afghanistan. Ma fa differenza? No, secondo la “logica” di Onfray. Sono comunque molto più dei morti che la guerra islamista ha portato da noi. La Francia inoltre è così poco “islamofobica” che mantiene alleanze, molto criticate, con il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia, ed è stata coinvolta nella riabilitazione diplomatica dell’Iran degli ayatollah.

 

Michel Onfray suggerisce che i terroristi non uccidono senza motivo, che vi è una base per i loro crimini, una qualche forma di legittimazione: per lui, il jihadista è, letteralmente, impegnato in una “autodifesa”. In questa sorta di “sala da tè del niccianesimo”, come è stata definita dall’Express la visione di Onfray, il filosofo erige la “volontà di potenza” degli islamisti dimostrando la loro superiorità radicale, quindi la necessità di negoziare una tregua con loro. Molto triste quando si è affermato per vent’anni di essere il filosofo nemico dei sistemi, il demolitore di provvidenze e idoli, lo spirito indomito pieno di luce. Triste quando si è sostenuto per vent’anni di camminare sulle orme di Albert Camus.

 

Onfray paragona la determinazione dei giovani terroristi del Bataclan ai loro giovani obiettivi (“non un solo ragazzo è pronto a morire per l’iPhone”). Dimenticando che le vecchie democrazie, nonostante le loro chiacchiere, ipocrisia, egoismo e comodità, hanno già sconfitto il superuomo ariano. I morti dei bistrò parigini non sono, come lascia intendere Onfray, i fantocci di un occidente decadente. “E’ così stupido!”, ha detto di Onfray Bernard-Henri Lévy, aggiungendo: “Siamo molto lontani dalla filosofia e molto vicini al commercio del caffè”. C’è poi il paradosso di questo critico dell’islam e della violenza professata dal Corano che viene improvvisamente colpito dalla superiorità mentale dell’islamista.

 

In una sorta di islamologia che si morde la coda, Onfray auspica un islam repubblicano, appoggiato a un Corano riformato (da chi?) o che valorizzi i versetti non violenti. Non è curioso che un ateo virulento auspichi di creare una religione ufficiale, un islam di stato? Onfray vede nel vivere contemporaneo, decadente, una successione di momenti superficiali anziché la realizzazione di una profonda filosofia della libertà, perché il suo sistema il pensiero si esaurisce in una crisi di volontà.
L’autore del “Manifeste hédoniste” è un novello Rousseau, che come Onfray vedeva la natura come libido e il resto come convenzioni. Col suo relativismo epicureo, Onfray presta il fianco ai tagliagole islamisti. Gliela praticheranno loro l’eutanasia, celebrata dal filosofo figlio di contadini normanni come l’ultima forma di libertà.

 

“Godetevi le ultime ore di pace così come ci godiamo le ultime ore dell’estate”, ha appena detto Michel Onfray al Point.

 

“L’inverno è alle porte”.

 

Godete, godete, godete.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.