Il primo ministro francese Manuel Valls (foto LaPresse)

Nella Francia che prova a reagire monta l'idea di un concordato stato-islam

Mauro Zanon
Novità: il premier Valls parla di un “nuovo modello di islam di Francia”. I tentativi passati e il peso della legge sulla laicità.

Parigi. Mercoledì scorso, quando il Canard Enchaîné ha rivelato che il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, starebbe considerando l’ipotesi di un “concordato con l’islam come quello in vigore in Alsazia-Mosella”, molti osservatori hanno manifestato i loro dubbi sulla veridicità del retroscena sfornato dal settimanale parigino. Perché del “pacte républicain” tra stato e culto musulmano si parla ormai da troppo tempo senza intravedere all’orizzonte alcuna azione concreta: l’“islam de France” è rimasto fino a oggi un dossier polveroso dimenticato nei cassetti delle stanze ministeriali, niente più. Ma questa volta, pare che qualche spiraglio si stia aprendo. La conferma è arrivata ieri da un’intervista al Monde del primo ministro Manuel Valls, dove l’inquilino di Matignon ha affermato senza mezzi termini la necessità di avviare un processo che porti a “un nuovo rapporto con l’islam in Francia” per consentire un maggiore controllo dello stato sul culto musulmano. “Dobbiamo costruire un nuovo modello.

 

Il ministro dell’Interno ci sta lavorando. In particolare, voglio che gli imam siano formati in Francia e non altrove. Per un periodo determinato, sono favorevole alla sospensione dei finanziamenti stranieri per la costruzione delle moschee”, ha dichiarato il premier francese al Monde. “Bisogna essere intransigenti con le violazioni della laicità, gli imam integralisti e tutti coloro che dietro un discorso fondamentalista preparano gli spiriti alla violenza”, ha aggiunto Valls. Nell’intervista dell’unico membro del governo socialista che non ha mai avuto reticenze pol. corr. nel condannare il terrorismo islamista, e ha difeso la laïcité a costo di essere tacciato di islamofobia, c’è spazio anche per un appello diretto alla comunità musulmana. “Il salafismo non ha il suo posto in Francia. E’ un dibattito che non bisogna sfuggire. Sta all’islam di Francia reagire. Tutti i cittadini, compresi i musulmani hanno un ruolo da svolgere nella lotta contro la radicalizzazione”. Sono gli indizi di un possibile sussulto, i segnali di una sterzata sopraggiunta con colpevole ritardo, ma pur sempre necessaria per scongiurare ulteriori derive.

 

Le frasi di Valls fanno eco a quanto evocato mercoledì dal rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, al termine di un incontro tra il presidente, François Hollande, e i rappresentanti dei culti in Francia. I musulmani francesi devono avviare “una certa riforma nelle istituzioni dell’islam”, ha affermato Boubakeur, perché è arrivato il momento per tutta la comunità musulmana di “prendere coscienza di ciò che non va in questa visione mondiale dell’islam”. Tuttavia, l’idea di un eventuale concordato che possa inquadrare il finanziamento delle moschee, la formazione degli imam, la remunerazione da parte dello stato dei ministri dei culti e la convalida della loro nomina, si scontra attualmente con il dispositivo legislativo francese (la legge sulla laicità del 1905) e con un rapporto parlamentare sull’organizzazione, lo spazio e il finanziamento dell’islam in Francia e dei suoi luoghi di culto pubblicato il 6 luglio scorso. Questo rapporto preconizza il ritiro totale dello stato nell’organizzazione dell’islam in Francia.

 

“Siamo stati volontariamente prudenti sulle raccomandazioni. Se si vuole essere conformi alla legge del 1905, lo stato può inquadrare, aiutare, accompagnare, ma non deve prendere iniziative”, ha spiegato Nathalie Goulet, relatrice del rapporto. A questo si aggiunge il problema, non certo secondario, dell’assenza di un’organizzazione chiara e incontestabile in seno all’islam, contrariamente agli altri culti praticati sul territorio francese. Da anni, i governi che si succedono tentano di organizzare l’islam di Francia. Nel 2003, Nicolas Sarkozy, allora ministro dell’Interno, aveva creato il Conseil français du culte musulman (Cfcm) eleggendolo interlocutore ufficiale del governo. Oggi però questa associazione, incaricata di rappresentare tutti i musulmani di Francia, è costantemente rimessa in discussione dalla stessa comunità musulmana.

 

A fine dicembre, un mese dopo gli attentati di Parigi, l’esecutivo aveva provato a riformare il Cfcm per “allargare e diversificare” la sua composizione e avviare così una prima “riorganizzazione della rappresentazione dell’islam”. Nello stesso piano pensato da Valls e Cazeneuve per combattere “coloro che ritardano la creazione di un islam di Francia”, venivano incoraggiati gli imam a seguire corsi di formazione civici nelle università, corsi che comunque erano facoltativi. Inoltre, il ministero dell’Interno aveva previsto di raddoppiare il numero di diplomi universitari accessibili, per evitare la presenza di autoproclamati predicatori radicali nelle moschee. “Il vero problema è fino a dove potrà spingersi la Francia nella riorganizzazione del culto musulmano. Un concordato sul modello di Napoleone, che organizzò la comunità ebraica attorno al Concistoro, è attualmente impensabile perché lo stato non può più intervenire in maniera forte, non è in grado di dire qual è l’islam buono e quale non lo è”, dice al Foglio Isabelle de Gaulmyn, caporedattrice de La Croix. “Per un islam autonomo e repubblicano va cambiata la legge sulla laicità del 1905, che proibisce il finanziamento dei luoghi di culto, costringendo i musulmani ad attingere risorse finanziarie dall’estero. Non c’è altra soluzione”.

Di più su questi argomenti: