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Militaria

Bilancio provvisorio della nostra guerra allo Stato islamico

Gianandrea Gaiani
I tre francesi uccisi in Libia e il ruolo (non-combat) dell’Italia nella coalizione. La conta delle forze speciali internazionali presenti in Libia, tra missioni segrete e incidenti. Il “grazie” di Ash Carter al ministro Pinotti, nonostante un ruolo solo di ricognizione

Quanti soldati stranieri in Libia
 
La morte di tre sottufficiali delle forze speciali francesi su un elicottero da attacco Mi-35 delle forze del generale Khalifa Haftar abbattuto dalle milizie islamiste nell’area di Agedabia ha fatto emergere dettagli e malumori circa la presenza di truppe straniere in Libia. Parigi ha ammesso l’uccisione dei suoi uomini impegnati in "pericolose operazioni di intelligence" come ha detto François Hollande, mentre a Tripoli il premier del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, Fayez al Serraj, ha denunciato come una palese “violazione” della propria sovranità la presenza di truppe francesi in Cirenaica al fianco di Haftar, rivale di Tripoli e uomo forte del governo laico di Tobruk. Da mesi indiscrezioni riferiscono della presenza di 160 militari francesi (paracadutisti della Legione straniera e dell’esercito, Commando paracadutisti dell'Aria, incursori e fanti di Marina) nella base di Benina, vicino a Bengasi, in appoggio alle forze di Haftar contro le milizie islamiche (qaidisti e Fratelli musulmani).

 

Il generale Saqr al Jarouchi, alla testa delle forze aeree di Tobruk ha rivelato però che a Benina ci sono anche forze speciali britanniche e statunitensi per "monitorare le attività dell'Isis", ma si tratterebbe di appena 20 uomini.

 

Con gli stessi compiti almeno una dozzina di Berretti Verdi americani si trovano invece a Misurata, le cui milizie sembrano inoltre appoggiate, nella battaglia per strappare Sirte allo Stato islamico, da una cinquantina di membri dello Special Air Service britannico. Il ruolo di Londra è stato ufficializzato dallo stesso al Serraj, che ha ammesso l’importante aiuto militare “ricevuto da un paese straniero”. Secondo altre fonti anche altre forze francesi affiancherebbero le forze di Misurata contro le milizie del Califfato. Le potenze occidentali sembrano quindi schierate con entrambi i contendenti impegnati a combattere le diverse milizie jihadiste. Di fronte all’interventismo franco-anglo-americano fa quasi sorridere constatare che le flotte italiana ed europea che dovevano contrastare i trafficanti di esseri umani restano in alto mare favorendo di fatto il business dell’immigrazione illegale, che secondo il comando di Eunavfor Med costituisce circa la metà del pil della Tripolitania e quindi delle tribù e milizie che sostengono al Serraj.

 



 

 

L’Italia contro l’Isis ma senza sparare


 
Il segretario alla Difesa americano, Ashton Carter, ha riunito a Washington la Coalizione chiedendo agli alleati di “fare di più" per infliggere una "sconfitta duratura" al Califfato. Pretesa forse troppo ambiziosa considerato il blando impegno profuso in quel conflitto dagli stessi Stati Uniti, che schierano tra Iraq e Siria appena 5 mila militari (per lo più consiglieri militari e istruttori) e una trentina di velivoli da combattimento. La media giornaliera di incursioni effettuate dall’ottantina di cacciabombardieri messi in campo dalla Coalizione resta infatti compresa tra 18 e i 25. Il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, ha sottolineato il ruolo dell’Italia per il quale ha incassato il “grazie” di Carter.

 

"Con 500 militari alla diga di Mosul a ottobre l'Italia resterà il secondo contingente della Coalizione con oltre 1.300 uomini”, mentre “le nostre forze aeree in Kuwait, impegnate in attività di ricognizione, sono prime per numero di voli" ha detto il ministro. Il contingente dell’operazione “Prima Parthica”, il cui costo quest’anno raggiungerà forse i 300 milioni di euro (254 già stanziati), presidia la diga di Mosul, addestra curdi e poliziotti iracheni ma non partecipa a operazioni belliche. Quello italiano è l’unico contingente Nato della Coalizione (insieme a quello tedesco) a non colpire dal cielo i jihadisti nonostante schieri 4 cacciabombardieri AMX e 2 droni Reaper (disarmati) oltre a 4 elicotteri da attacco Mangusta utilizzati solo per scortare gli elicotteri da trasporto e forze speciali. Il Belgio, che ha forze militari molto limitate e non mantiene una presenza costante di velivoli nella Coalizione, ha lanciato in sei mesi con i suoi F-16 oltre 200 bombe contro le postazioni dell’Isis in Iraq.

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