Recep Tayyip Erdogan con Angela Merkel (foto LaPresse)

Alla corte di Istanbul

Così Erdogan ambisce a piegare Merkel al suo autoritarismo

David Carretta
Incontro tra il presidente turco e la cancelliera tedesca lunedì a Istanbul. Cosa funziona nel patto sui migranti e cosa sta per saltare

Bruxelles. Lunedì, quando si siederà di fronte a Recep Tayyip Erdogan, Angela Merkel avrà un compito quasi impossibile: salvare l’accordo sui migranti tra Unione europea e Turchia, dissuadendo al contempo il presidente turco dall’accelerare i suoi progetti autocratici. La cancelliera tedesca nel fine settimana sarà a Istanbul per il summit umanitario mondiale organizzato dall’Onu. L’occasione doveva servire a rilanciare il suo impegno a favore dei rifugiati, malgrado la chiusura delle porte marittime e terrestri dell’Ue con il consenso esplicito (nell’Egeo) o implicito (nella rotta dei Balcani) tedesco. Invece l’attualità ha costretto Merkel a invertire le priorità della visita. “La crescente polarizzazione del dibattito politico interno ci preoccupa”, ha detto ieri il suo portavoce Steffen Seibert, dopo il voto sulla fine dell’immunità parlamentare ad Ankara che consentirà di perseguire decine di deputati pro curdi. Merkel intende discutere con Erdogan dello stato della democrazia, ha spiegato Seibert, ma l’incontro rischia di trasformarsi in una resa dei conti, con Erdogan pronto a minacciare di riaprire il flusso dei rifugiati se Merkel non si piegherà all’idea del sultanato.

 

L’accordo tra Ue e Turchia finora ha funzionato grazie al blocco delle partenze da parte di Ankara. Come chiedevano gli europei, il numero di sbarchi sulle isole greche si è praticamente azzerato: dalla media giornaliera di 7 mila persone in ottobre si è passati a 50 arrivi quotidiani a maggio. Le autorità turche continuano a riprendersi i migranti che non chiedono asilo. Ieri 51 persone sono state riaccompagnate in traghetto dalle isole di Lesbo e Kos verso i porti turchi. Se l’accordo non è ancora pienamente operativo – con il rimpatrio in Turchia anche dei rifugiati siriani arrivati in Grecia dopo il 20 marzo – la responsabilità è soprattutto europea. L’esercito di funzionari Ue che doveva aiutare Atene a gestire le domande d’asilo non si è ancora materializzato del tutto. In due mesi sono stati rinchiusi nei centri di detenzione più di 8 mila rifugiati, che attendono nelle isole di sapere quale sarà il loro destino. Ieri un giudice greco – scrive il quotidiano Ekathimerini – ha rifiutato l’espulsione di un siriano stabilendo che la Turchia non è un paese terzo sicuro. La decisione, che potrebbe costituire un precedente, rischia di mandare all’aria la base giuridica dell’accordo Ue-Turchia che doveva consentire il rimpatrio di tutti i migranti.

 

Alcuni europei sono già pronti a dare la colpa a Erdogan. Il presidente turco ha spiegato che non intende modificare la legge antiterrorismo, come invece sarebbe obbligato a fare per la liberalizzazione dei visti, ma la diatriba serve come foglia di fico per le capitali europee – come Parigi – che non vogliono aprire le porte di Schengen a 80 milioni di turchi. La parte non scritta del patto con Ankara prevede che l’Ue chiuda un occhio, concedendo la liberalizzazione dei visti entro fine giugno. La Commissione ha dato un parere positivo. I ministri dell’Interno dell’Ue ieri si sono inventati un “freno d’emergenza” anti invasione: “Dobbiamo essere sicuri che non ci siano abusi”. Ma anche gli alleati di Merkel a Berlino iniziano a criticare la sua condiscendenza. Le dimissioni del premier Ahmet Davutoglu hanno destabilizzato il gioco equilibrista di Merkel sulla Turchia. Davutoglu voleva “usare l’Ue come catalizzatore delle riforme in Turchia”, spiega al Foglio una fonte turca. Per contro, “a Erdogan non interessano i visti: è ossessionato solo dal suo regime presidenziale”. Come a dire che lunedì, oltre alla crisi dei rifugiati nell’Ue, si gioca anche la direzione della Turchia tra futuro europeo e deriva islamo-autoritaria.

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