Khalifa Haftar (foto LaPresse)

Il piano di Bengasi

Come va la partizione del greggio libico che piace a Haftar e francesi

Daniele Raineri
Il governo di Tobruk sogna ancora una compagnia alternativa del petrolio che ucciderebbe l’unità nazionale. Americani molto contrari

Roma. In Libia il governo di Tobruk non dismette il progetto della “Noc Bengasi”, ovvero di una compagnia petrolifera nazionale alternativa a quella con sede a Tripoli, spiega al Foglio l’analista con base a Londra Mattia Toaldo: “L’esistenza di una Noc Bengasi sarebbe uno dei pilastri di un  eventuale ministato libico della Cirenaica”. Per ora esiste un embrione di compagnia del petrolio alternativa chiamato Noc Beida, che è un’altra città dell’est controllata dal governo di Tobruk. “Spostare la sede della compagnia a Bengasi, come anche spostare il Parlamento da Tobruk a Bengasi, sarebbe un altro passo in direzione della partizione di fatto della Libia e quindi un altro passo nella realizzazione del piano del generale Khalifa Haftar e del presidente del Parlamento, Aguilah Salah, per resistere al governo di accordo nazionale sponsorizzato dalle Nazioni Unite e tenersi un territorio autonomo” (un piano che non è visto con antipatia dal governo francese, che a Bengasi ha inviato forze speciali in appoggio di Haftar).

 

Non è chiaro a che punto è arrivato questo progetto – che riguarda il greggio, quindi la fonte primaria di profitto per la Libia. Sono necessarie coperture bancarie e ci sono rumors sul fatto che sarebbero state offerte da sponsor esterni, considerato il fatto che le eventuali lettere di garanzia non possono essere chieste all’interno della Libia (la Banca centrale di Tripoli non approverebbe un progetto che punta verso la partizione). Il grande ostacolo alla Noc Bengasi in questo momento sono gli americani, che non tollerano un secondo business del greggio libico e vogliono un governo solo, a Tripoli.

 

Gli americani si appoggiano a una risoluzione delle Nazioni Unite che vieta il contrabbando del petrolio libico e sono pronti a usare la forza per impedirlo, anche perché lo sdoppiamento della compagnia nazionale del petrolio sarebbe l’annuncio di morte della Libia unita. Ieri il New York Times ha pubblicato  un pezzo in cui spiega che l’attacco contro lo Stato islamico in Libia include il bombardamento di un numero di bersagli tra i trenta e i quaranta, in quattro aree del paese, ed è difficile immaginare che un’operazione del genere potrebbe essere condotta senza un governo nazionale insediato a Tripoli.

 

La Noc Beida, che forse un giorno diverrà Noc Bengasi, prova a usare la stessa tattica di interdizione contro la gemella rivale di Tripoli, senza avere gli stessi mezzi. A gennaio Tripoli ha noleggiato la petroliera Nassau Energy per caricare greggio al terminal di Ras Lanuf, ma le guardie locali, che stanno con Bengasi, l’hanno rispedita al largo vuota, citando motivi di sicurezza. Il sito di analisi americano Stratfor sostiene che la Noc Beida non si sente costretta a creare una nuova compagnia da zero, ma si sente autentica compagnia nazionale. Per questo punta a intestarsi i contratti dell’altra e a prenderne gli asset, come per esempio le sussidiarie che provvedono servizi e le joint venture che gestiscono gli impianti – anche quelle straniere, e questo mette in mezzo pure l’impianto di Mellitah controllato da Eni.

 

Due giorni fa a Londra un giudice dell’Alta corte inglese ha sospeso il giudizio che avrebbe dovuto assegnare la gestione del gigantesco fondo d’investimento Lia, il fondo sovrano della Libia, al governo di Tripoli o a quello di Tobruk. Il ragionamento del giudice Blair è stato che è meglio aspettare la nascita del governo di unità nazionale, ora che è ritenuta imminente – ma non certa. Se ci sarà un governo unico, la questione si svuoterà di senso. Così è stata schivata una questione che avrebbe potuto azzoppare il processo politico. Se il piano dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Martin Kobler, funzionasse, anche la rivalità fra le due Noc cesserebbe d’esistere. Non è ancora così e nell’incertezza il dinaro libico per una settimana intera è rimasto, per la prima volta, sotto i 4,75 contro il dollaro. 

 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)