Come nasce e cosa ci dice l'ennesimo salto di qualità della guerra combattuta dallo Stato islamico

Giulia Pompili
"Gli attacchi dello Stato islamico lasciano sicuramente pensare a una escalation", dice al Foglio Michael Horowitz

Non è possibile fare una riflessione sulla strage di Parigi senza considerarla insieme con gli ultimi due attacchi rivendicati dallo Stato islamico, quello nel quartiere sciita di Beirut e quello – rivendicato, anche se è ancora in corso l’inchiesta – contro l'aereo russo esploso nella regione egiziana del Sinai – rispettivamente 44 e 129 morti. Questa successione di attacchi terroristici suggerisce uno spostamento del fronte di guerra dello Stato islamico, una cambiamento di strategia (leggi qui l'analisi del New York Times e quella del Wall Street Journal).

 

"Gli attacchi dello Stato islamico lasciano sicuramente pensare a una escalation", dice al Foglio Michael Horowitz del gruppo d'intelligence Levantine. "Il gruppo sta cercando di portare a compimento più stragi di massa. Il cambiamento sembra venire dalla situazione in Siria e in Iraq, dove per lo Stato islamico stanno aumentando le sfide, ma – cosa molto più importante dal mio punto di vista – dal desiderio di provocare un'escalation nella campagna anti Stato islamico nella regione". E un primo risultato, questa strategia, l’ha già ottenuto: ieri la Francia ha intensificato esponenzialmente gli attacchi aerei sulla Siria, soprattutto sulla cosiddetta “capitale” dello Stato islamico, e avrebbe distrutto almeno due campi di addestramento per jihadisti. Inoltre, secondo Horowitz, c'è da considerare l'aspetto mediatico della strategia Isis: "Il gruppo di Al Baghdadi ha affinato enormemente la sua mostruosa 'tecnica' delle esecuzioni, ma sta trovando non poche difficoltà a farla rimanere rilevante. Potrebbe sembrare tragico, ma il pubblico occidentale si è quasi assuefatto ai video di esecuzioni pubbliche. Non fanno più la prima pagina. Questo spiega in parte il cambiamento della strategia dello Stato islamico: visto che non possono fare video ancora più macabri, si concentrano nel fare attacchi più visibili". E’ anche per questo motivo che il primo ministro Manuel Valls questa mattina ha detto: “I terroristi possono colpire di nuovo nei giorni e nelle settimane a venire. Non voglio spaventare la gente, ma avvertirla”.

 

Secondo le prime indagini portate avanti a Parigi, gli otto terroristi che hanno compiuto la strage di venerdì sera potrebbero essere stati coordinati direttamente da Raqqa, e sempre secondo le prime ricostruzioni avrebbero partecipato alla realizzazione dell’attacco almeno venti persone. Non è ancora verificato se davvero i membri della cellula comunicassero tra loro attraverso la Playstation 4 e la piattaforma di giochi online della Sony (come immaginato dal ministro degli Affari interni belga Jan Jambon) ma è vero che in passato i videogiochi sono stati impiegati per il reclutamento e per il controterrorismo (leggi qui l'approfondimento del Foglio). A far paura, però, è soprattutto la fattura sofisticata dei gilet esplosivi – come ha spiegato il procuratore della Repubblica francese François Molins – impiegati per la prima volta su territorio europeo.

 

Del resto, è la prima volta che lo Stato islamico rivendica ufficialmente un attacco in Europa, "e il comunicato è molto chiaro sul fatto che questo è il primo passo di una campagna atta a aprire nuovi fronti di guerra", dice ancora al Foglio Horowitz. "Il 'Mondo Libero' che include Europa e America deve iniziare a vedere il terrorismo come un problema interno generato da una mancanza di politica estera", spiega Horowitz, secondo il quale lo Stato islamico è riuscito a rafforzarsi in Siria e Iraq perché combatterlo non è stata una priorità, e l'occidente ha già ammesso il proprio fallimento in Siria. L'azione bellica della coalizione a guida russa che sta bombardando lo Stato islamico potrebbe aver iniziato a creare problemi all'efficiente macchina del terrore del Califfato, costretta a cambiare fronte di guerra: "C'è una situazione molto complessa in Iraq e Siria adesso, e bisogna essere cauti. Sicuramente ci sono progressi, la maggior parte in Iraq grazie ai curdi in Sinjar e recentemente a Baiji, e lo stesso si può dire per l'est della Siria, nella provincia di Hasakah, progressi operati dalle forze dei gruppi curdi e dal regime di Assad. Ma lo Stato islamico è lontano dall'essere sconfitto".

 

[**Video_box_2**]Inoltre, secondo Horowitz, in tutto questo si inserisce un'aspirazione apocalittica che fa presa anche in occidente: "Combattono per 'la fine del mondo'. Nei loro pensieri, stanno combattendo contro i crociati che invadono il Califfato e verranno sconfitti a Daqib, un luogo menzionato dal Corano e che è l'equivalente dell'Armageddon cristiano. Per compiere questa visione del mondo, hanno bisogno di creare le condizioni di una guerra globale. Questo spiega anche gli sforzi dello Stato islamico di coinvolgere l'America sul terreno di scontro decapitando cittadini americani in Siria - uno di loro proprio a Daqib", che non a caso, è anche il nome della rivista dell'Isis in lingua inglese.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.