Hassan Rouhani con Francois Hollande

In vino veritas. Le bollicine dividono Hollande e Rohani, noi e l'islam

Giulio Meotti
"Undici cose sono impure" scriveva l’ayatollah Khomeini: “L’urina, gli escrementi, lo sperma, le ossa, il sangue, il cane, il porco, l’uomo e la donna non musulmani, il vino, la birra, il sudore del cammello che mangi escrementi umani”.

Undici cose sono impure” scriveva l’ayatollah Khomeini: “L’urina, gli escrementi, lo sperma, le ossa, il sangue, il cane, il porco, l’uomo e la donna non musulmani, il vino, la birra, il sudore del cammello che mangi escrementi umani”. Il prossimo 17 novembre, all’Eliseo, il presidente francese François Hollande non aveva intenzione di servire al presidente iraniano Hassan Rohani né maiale né escrementi, ma di annaffiare il pranzo diplomatico con dell’ottimo vino. La delegazione iraniana ha chiesto che l’alcol venisse bandito dalla tavola. I francesi, in nome della laicità, per ora hanno rifiutato: questa è Parigi, non Teheran. Quindi la cena è sospesa. “Non c’è necessariamente bisogno di un pasto durante una visita di stato”, sussurrano al Monde adesso i funzionari dell’Eliseo. Visto che non finirà con gli iraniani che accettano di sedersi a una tavola imbandita con vino impuro o con i francesi che presentano un “menù halal”, potrebbe finire come nel 1999, quando Mohammed Khatami, il primo presidente iraniano a visitare la Francia, venne ricevuto dal presidente Jacques Chirac, evitando il pasto.

 

La presenza di vino è il test fondamentale per la vitalità di un “islam moderato”, in qualunque modo si voglia chiamarlo. E la sua scomparsa è il primo segnale della serrata fondamentalista. In Iran, Khomeini ordinò di setacciare le ambasciate straniere e far sparire le bottiglie di vino. Nel 1996, l’avvento dei talebani a Kabul si celebrò con una grande distruzione di bevande alcoliche: tra i cingoli di un carro armato russo finirono 1.400 casse di birra olandese e quattrocento bottiglie di liquori. “Non c’è posto per l’alcol nell’islam”, disse il capo della polizia religiosa Abdul Wali. L’odio islamista per il padre della Turchia laica e moderna, Kemal Atatürk, si basa proprio sulle cause della sua morte: la cirrosi epatica (Atatürk era un gran bevitore). E parte del malcontento della Turchia laica per il suo presidente, Recep Tayyip Erdogan, si basa sul fatto che, da primo ministro, ha voluto una legge sulla restrizione della vendita di alcolici. La Turchia reislamizzata è oggi uno dei paesi in cui un bicchiere di vino costa di più al mondo. Non perché si vendano bottiglie di lusso, ma perché il governo ha fatto salire il prezzo a dismisura. Uno dei primi atti del governo islamico di Hamas dopo il golpe a Gaza fu la messa al bando degli alcolici e quando l’Isis, il Califfato di al Baghdadi, conquista un pezzo di territorio iracheno o siriano la prima cosa che fa è punire, spesso con la morte, i venditori di alcolici. In Algeria, negli anni Novanta, i mujaheddin non avevano pietà: a chi fumava, tagliavano il naso; a chi beveva alcol, tagliavano le labbra. Eppure l’islam nel medioevo, nel suo periodo d’oro, non ebbe problemi morali con l’alcol. Baghdad e Istanbul, per fare due esempi, vantavano centinaia di enoteche e distillerie e Avicenna tesseva le lodi del vino. Il fondatore del Pakistan, Muhammad Ali Jinnah, amava bere.

 

[**Video_box_2**]Oggi invece, come racconta Lawrence Osborne in “The wet and dry”, il tasso di liberalità nel mondo arabo-islamico può essere misurato dalla presenza di vitigni, come in Marocco, uno degli ultimi paesi produttori di alcolici nel Maghreb. Casablanca, la capitale economica del Marocco, ha ospitato un Oktoberfest dall’8 ottobre all’8 novembre, inondando la città di “bionde”. La Festa della birra è un colpo che i laici e i produttori non erano mai riusciti a mettere a segno. L’alcol è segno di libertà religiosa anche all’interno dei regimi. In Iran, oggi, soltanto le minoranze cristiane, ebraiche e zoroastriane sono libere di distillare e bere (i sacerdoti cattolici producono alcol a casa per la messa). Nella diaspora islamica in Europa, il fondamentalismo cresce con il rifiuto dell’alcol. “Per molti musulmani, non bere è un rifiuto della decadenza occidentale”, scrive Sami Zubaida, sociologo al Birkbeck College di Londra. Nelle banlieue parigine ronde di islamisti girano nei supermercati durante il Ramadan in cerca di liquori da togliere dagli scaffali. In Arabia Saudita, un cittadino inglese si è appena fatto un anno di carcere per aver distillato vino e rischia anche delle frustate. Quando in Tunisia è arrivata al potere l’islamista Ennahda, gli aerei della compagnia di bandiera tunisina Tunisair hanno smesso di servire bevande alcoliche. E dallo scorso 16 aprile, nel più grande paese islamico del mondo, l’Indonesia, sono vietate l’esposizione e la vendita al pubblico di birra.

 

Quando scompaiono gli alcolici, una cappa odiosa scende anche su tutto il resto. Questo vale a Riad come a Parigi.

 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.