Tim Wolfe, presidente dell’Università del Missouri

Il rettore epurato per il “privilegio bianco” e altri malanni del pol. corr.

La notizia non è che il presidente dell’Università del Missouri, Tim Wolfe, si è dimesso dopo le proteste degli studenti afroamericani; la notizia è che non c’era modo per lui di mantenere il posto senza prodursi nella confessione di una colpa che non aveva commesso, un ricatto orwelliano.

New York. La notizia non è che il presidente dell’Università del Missouri, Tim Wolfe, si è dimesso dopo le proteste degli studenti afroamericani; la notizia è che non c’era modo per lui di mantenere il posto senza prodursi nella confessione di una colpa che non aveva commesso, un ricatto orwelliano. Qual è la colpa di Wolfe? Non  essersi schierato con i manifestanti all’interno del campus per l’omicidio di Michael Brown, il diciottenne afroamericano ucciso nella vicina Ferguson nell’estate del 2014 da un poliziotto bianco. Detto altrimenti: il presidente di un’università ha permesso, e tuttavia non ha sostenuto, le proteste per un episodio in cui l’agente è stato dichiarato innocente da tre commissioni d’inchiesta, una delle quali istituita da Barack Obama e affidata al Dipartimento di giustizia di Eric Holder. Da questa presa di posizione è nata la protesta permanente degli studenti afroamericani del campus, culminata con lo sciopero della fame di Jonathan Butler e la minaccia della squadra di football di non scendere in campo se Wolfe non si fosse dimesso.

 

Due episodi vengono addotti dai manifestanti come prova del clima di razzismo: la comparsa di una svastica tracciata con escrementi sulla porta di un dormitorio, e gli insulti a sfondo razziale di uno studente ubriaco. Sulla svastica l’università ha aperto un’inchiesta, mentre lo studente  è stato immediatamente sospeso, e presto verrà giudicato da un’apposita commissione. Con ogni probabilità sarà espulso. Basta leggere le parole di Butler per capire che questi due casi non c’entrano con le dimissioni, il punto è Ferguson: “C’è stata copertura nazionale dell’evento, dunque per la nostra scuola, che è a due ore di distanza, non affrontare questo problema è stato un grosso errore e ha contribuito all’ambiente culturale che abbiamo ora”. Wolfe non ha preso posizione con i manifestanti, questa è la sua colpa. Gli hanno chiesto di dimettersi oppure di scrivere una lettera in cui chiede scusa per tutte le sue colpe, specialmente per “i suoi privilegi bianchi”. Avrebbe dovuto leggerla in una conferenza stampa. La minaccia della squadra di football ha reso la faccenda potenzialmente troppo costosa per l’università, e il presidente si è dimesso. A conti fatti, Wolfe se ne va per non essersi allineato alle proteste d’ispirazione Black Lives Matter e per avere accettato una sentenza approvata dalla Casa Bianca. Date le premesse, quello che è successo dopo non è una sorpresa: lo studente-giornalista minacciato, bloccato e spinto via dalla folla mentre cercava di documentare le proteste, la professoressa di comunicazione che chiede “muscoli” per rimuovere un giornalista dal campus, il tutto nel nome degli “spazi sicuri” dei manifestanti e con la complicità di amministratori universitari. Spettacolo non proprio edificante per l’università con la prima scuola di giornalismo d’America. La polizia del campus non si vede intervenire a difesa dei giornalisti nei video che circolano in rete.

 

[**Video_box_2**]Quello che si vede sono i tweet del gruppo di manifestanti, che va sotto il nome di Concerned Student 1950, che accusano: “Sono di solito i media bianchi che non capiscono l’importanza di rispettare gli spazi neri”, anche se il giornalista intimidito, Tim Tai, è di origine asiatica. Conor Freidersorf sull’Atlantic parla di “weaponization” del concetto di “spazio sicuro”: lo spazio inviolabile, dove non vale nemmeno il primo emendamento, è un’arma nelle mani delle minoranze delle università, quelle che si arrogano diritti che non sono disposti a concedere agli altri. A Yale è scoppiata una polemica furibonda e surreale sulla censura dei costumi di Halloween potenzialmente offensivi. Dimissioni sono state richieste e professori sono stati accerchiati e additati. Ogni settimana c’è un episodio in cui i dettami del politicamente corretto vengono applicati in modo a tal punto pedante da realizzare la discriminazione che si proponevano di combattere, si tratti di diritti razziali o misure antistupro. Wolfe è stato costretto a dimettersi per la colpa di non essere un militante.