Un talebano a Kunduz con un fucile G-3, come quelli in dotazione ai soldati tedeschi che lasciarono la città nel 2013

L'Afghanistan viene giù come l'Iraq

Daniele Raineri
Sei giorni fa il generale Campbell ha mandato a Obama i piani per lasciare l’Afghanistan. I talebani non aspettano la Casa Bianca e conquistano Kunduz, simbolo della loro disfatta nel 2001.

Roma. Giovedì il generale americano che comanda i soldati in Afghanistan – si chiama John Campbell – ha mandato cinque scenari di guerra diversi al Pentagono e alla Nato. Si tratta di cinque proposte che rispondono alla domanda: quanti soldati americani dobbiamo ritirare dall’Afghanistan e che cosa succede dopo? Tra le cinque opzioni ci sono quelle di tenere il numero di adesso, circa 10 mila militari; di fare scendere il numero di poco, a ottomila; di dimezzarlo; oppure di continuare secondo il piano di ritiro originale che prevede un ritiro quasi completo entro la fine del 2016 e la presenza residuale di qualche centinaio di soldati. Quel giorno il Wall Street Journal ha scritto che i rapporti del generale – lui è atteso a un’audizione davanti al Congresso a ottobre – di sicuro infiammeranno il dibattito a Washington, perché in tanti temono che si ripeta quello che è successo in Iraq: gli americani si sono ritirati del tutto nel 2011, gli iracheni da soli non sono riusciti a tenere sotto controllo la situazione e tre anni dopo lo Stato islamico ha preso quasi un terzo del paese, a partire dalla città di Mosul. Il presidente Barack Obama, scrive il Wsj, ha già fatto intuire che sarà più malleabile che sul ritiro dall’Iraq, proprio perché teme  un bis.

 

Quello stesso giorno, giovedì scorso, i talebani attorno alla città di Kunduz celebrano l’Eid al Adha, una festività islamica importante. Le foto che mettono su internet parlano da sole: i talebani sono bene equipaggiati, indossano uniformi uguali tra loro – quei tunicotti pashtun chiamati shalwar kameez, cuciti però con tessuto mimetico – hanno anche scarpe da ginnastica tutte bianche e uguali. Sono una forza organizzata, che si prepara all’ultimo balzo sulla città vicina – e ieri il ministero della Difesa afghano ha detto che squadre di talebani hanno approfittato della festa e del traffico dell’Eid per entrare in incognito a Kunduz, in attesa di attaccare dall’interno i soldati afghani che tenevano la città.

 

Lunedì, scrive il giornalista afghano Bilal Sarwary, “i talebani afgani hanno avuto la loro mini Mosul” e hanno preso Kunduz. Come avviene spesso nella cronaca del jihad, si è trattato di una conquista annunciata. Quando alla fine di aprile i talebani avevano presentato la loro annuale campagna estiva di combattimenti, avevano annunciato che avrebbero attaccato anche la città. Operazione Azm, l’hanno chiamata, dove Azm sta per per “determinazione, perseveranza” – si sente una eco dell’operazione americana in Iraq e Siria: “Inherent Resolve”. Kunduz è nel settentrione, lontana dalle zone di etnia pashtun nel sud dove i reclutatori dei talebani pescano la stragrande maggioranza dei combattenti e lontana dalla loro città santa, Kandahar. E’ stata l’ultimo luogo a cadere sotto il controllo di quella forza mista formata dall’Alleanza del nord  e dalle forze speciali americane che nel novembre 2001 cacciò i talebani per reazione all’11 settembre. Passare da un occupante all’altro era allora quasi la normalità per Kunduz: fra il 1992 e il 2001 cambiò di mano cinque volte, tra le diverse fazioni che si sono contese l’Afghanistan dopo il ritiro dei sovietici. Nel 2001, l’anno dell’arrivo degli americani, la presa di Kunduz fu simbolica: l’Afghanistan tolto ai talebani in due mesi, la miscela romantica di uomini a cavallo pescati tra i mujaheddin dimenticati per tanto tempo (l’Alleanza del nord) e la tecnologia americana (i bombardamenti) avevano avuto ragione del legame tra i talebani e Osama bin Laden, tra una regione selvaggia e il terrorismo internazionale.

 

A gennaio 2002 Seymour Hersh scrisse un pezzo per il New Yorker (quindi con un robusto fact checking, e quando lui faceva ancora scoop suggestivi e non indulgeva alle bizzarrie di oggi) in cui raccontava che i pachistani erano atterrati sulle piste dell’aeroporto di Kunduz e si erano portati via i loro uomini, che erano andati a combattere a fianco dei talebani, “compresi due generali”, e che nell’evacuazione in stile Saigon 1975 anche qualche uomo di al Qaida si era imbarcato. Chissà se Hersh lavorava già di fantasia. Nei giorni subito dopo la presa di Kunduz l’immagine romantica si dissolse. Era cominciato il dopo. Tremila talebani furono fatti prigionieri, molti morirono asfissiati dentro container di metallo in cui li fece rinchiudere il generale di etnia uzbeka Rashid Dostum.

 

[**Video_box_2**]Ora il governo afghano minimizza, il ministro della Difesa dice che la caduta di Kunduz “è un incidente”, manda soldati a cacciare i talebani prima che si trincerino. Ma come spesso succede, riconquistare sarà più arduo che difendere quello che si ha già – e più di tutti lo sa Obama che ha in mano le opzioni del ritiro americano.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)