Matteo Renzi visita il museo dell'Olocausto di Gerusalemme (foto LaPresse)

Il dossier che Renzi può portare a Bruxelles per rassicurare Israele

Leonardo Bellodi
Perché la visita del premier non sia soltanto uno sterile esercizio diplomatico, deve offrire qualche cosa e ottenere altro in cambio. Ma cosa?

Tel Aviv. Chissà se Matteo Renzi ha dovuto cambiare il discorso che deve tenere oggi alla Knesset dopo la cena ristretta che ha avuto ieri sera a Gerusalemme con il premier Bibi Netanyahu accompagnato dal consigliere per la Sicurezza nazionale. La prima preoccupazione del primo ministro è quella di non tradire la relazione di affinità e vicinanza con gli Stati Uniti e allo stesso tempo di consolidare i rapporti con Israele in un momento di relazioni particolarmente tese tra i due paesi. Non che in passato non vi siano stati tensioni tra le due amministrazioni: Eisenhower costrinse Israele a ritirarsi dall’operazione Canale di Suez, Ford diede ordine alle proprie industrie della difesa di non vendere più armi a Israele finché questa non si fosse ritirata dal Sinai, Carter litigò furiosamente con Begin durante il summit di Camp David, Reagan vendette satelliti spia all’Arabia Saudita, Bush senior congelò i prestiti sovrani a Israele a causa degli insediamenti in Cisgiordania così come fece Clinton (Bill) e G. W. Bush. Ma oggi è diverso: mai si era visto un primo ministro parlare al Congresso di un paese alleato senza essere stato invitato (e ricevuto) dal governo che da sempre forgia la politica estera. Questo Netanyahu lo sapeva molto bene quando ha accettato l’invito dei repubblicani a Washington. E Barack Obama, dal canto suo, ha dato ordine al segretario di stato John Kerry di non alzarsi dalla sedia delle negoziazioni con l’Iran fino a che un accordo non fosse stato raggiunto.

 

Perché la visita di Renzi non sia soltanto uno sterile esercizio diplomatico, il premier deve offrire qualche cosa e ottenere altro in cambio. Ma cosa? Israele insisterà sul fatto che l’accordo con l’Iran sia stata una follia e potrebbe chiedere all’Italia di fare qualunque cosa per fermare l’accordo.  Ma non c’è strada che possa essere intrapresa con successo. Però l’Italia potrebbe offrire la propria cooperazione di intelligence e diplomatica nel monitorare i flussi finanziari, che qualcuno stima in eccesso di 150 miliardi di dollari, che entreranno nelle casse dello stato iraniano con il venire meno delle sanzioni e che possono essere utilizzati per azioni di destabilizzazione internazionale.

 

Renzi ha poi un asso nella manica. Israele, si è scoperto, siede su una miniera di gas. In parte l’utilizza come strumento di diplomazia energetica. Ha sottoscritto un accordo con la Giordania, sotto l’egida del dipartimento di stato americano, e forse un giorno riuscirà a mandare gas in Egitto attraverso lo stesso gasdotto che una volta portava il gas egiziano in Israele. Ma la sfida è portare quel gas in Europa. Assistiamo però a Bruxelles a una contraddizione. All’interno delle varie istituzioni comunitarie è cresciuto un sentimento anti russo che pone come priorità politica il venir meno della dipendenza energetica dalla Russia. Anche ammettendo che sia una scelta saggia, sarebbe naturale guardare ai paesi del Mediterraneo come alternativa. Invece silenzio assoluto: Israele non è tenuto in considerazione. Renzi potrebbe offrire questo: portare a Bruxelles il dossier di accordo energetico con Israele e metterlo in cima alle priorità chiedendo cooperazione tecnica, finanziaria e soprattutto politica.

 

[**Video_box_2**]Cosa potrebbe chiedere Renzi a Gerusalemme? Fino a oggi in Israele lo Stato islamico non è stato percepito come un problema maggiore, ma la scorsa settimana il video di una nave egiziana colpita da un razzo lanciato dallo Stato islamico ha fatto il giro del mondo e l’incendio era chiaramente visibile dalla costa israeliana. Il gruppo terroristico Sinai Province che opera nel Sinai al confine con Israele ha dichiarato l’affiliazione allo Stato islamico. Il gruppo di al Baghdadi è o diventerà un problema anche per Israele. Renzi potrebbe chiedere cooperazione soprattutto per quanto riguarda l’intelligence: se il Mossad è di gran lunga il marchio israeliano più conosciuto e stimato all’estero, una ragione ci sarà.

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