Milizie Spa. Ecco i traffici dei nuovi signori della guerra libici

Arturo Varvelli
Per la tratta degli esseri umani in Libia si alleano anche le fazioni nemiche. Il ruolo delle tribù e le città chiave

Milano. La Libia di oggi è un puzzle composto da decine di milizie. Il sorgere di svariati microgruppi di potere con un controllo territoriale circoscritto è una delle principali cause dell’impossibilità di una gestione organica del paese dopo la caduta di Muhammar Gheddafi nel 2011. La maggior parte di questi gruppi, che si sono costituiti attorno alle comunità locali e che talvolta hanno una composizione etnica, ha preso parte alla lotta contro il regime. Altre volte i gruppi si sono formati dalla dissoluzione del regime stesso, ma tutti sono poco inclini al riconoscimento di qualsiasi autorità centrale che non voglia negoziare la loro partecipazione alla gestione del potere nel paese.

 

I nuovi signori della guerra libici hanno due diversi metodi di sostentamento: il primo, legale, se ancora qualcosa di legale può essere riconosciuto in Libia, sono i pagamenti che la Banca centrale libica ha continuato a elargire – alle milizie come a entrambi i governi, quello riconosciuto dalla comunità internazionale di Tobruk e quello a maggioranza islamista di Tripoli – e che finiscono con il foraggiare molte milizie in quanto facenti parte dell’apparato di sicurezza dello stato; il secondo, illegale, è costituito dai traffici illeciti condotti dai miliziani: esseri umani, armi, beni sovvenzionati, greggio, droga, sigarette, talvolta alcol e prodotti farmaceutici.

 

Secondo fonti di intelligence sarebbero circa 20 mila i miliziani direttamente coinvolti nei traffici illeciti, in particolare quelli umani. A sud-ovest della Libia, il confine con il Niger è attualmente la via di maggior transito verso il territorio libico. Qui i due gruppi maggiormente coinvolti nei traffici sono le milizie tebu e quelle tuareg. Le due minoranze seminomadiche libiche si sono storicamente spartite gli affari di confine. I tuareg svolgevano sotto il regime di Gheddafi una funzione di polizia dell’area, di fatto gestendo i traffici ma anche limitandoli e tenendoli sotto controllo. Le loro basi si trovano tra la piccola località di Ubari e la città di Ghat, nella quale il colonnello aveva fatto costruire interi quartieri con lo scopo di rendere sedentaria la minoranza. Sono i tuareg che gestiscono i transiti del cosiddetto “Salvador Triangle”, il punto di unione dei confini libico, algerino e nigeriano. I tebu, ostracizzati dal regime, avevano un ruolo più limitato. Oggi invece appaiono i grandi beneficiari del rovesciamento di Gheddafi: appoggiando il parlamento di Tobruk e il generale Haftar godono di una rinnovata posizione nella nuova Libia. Dal confine con il Niger – non lontano dalla base francese di Madama – gestiscono le rotte verso Sebha, capoluogo del Fezzan, passando dalle piccole oasi di al Qatrun e Marzuq.

 

 

Insieme ai migranti transita la droga verso i mercati nordafricani ed europei, la via contraria invece la percorrono i beni sussidiati in Libia come carburanti e prodotti alimentari, sempre più esigui, e le auto inviate verso il mercato africano. A Sebha, punto nodale, i tebu si accordano con i miliziani arabi della tribù Awlad Suleiman che si incaricano del transito sino alle coste mediterranee. I tebu gestiscono anche l’altro canale di transito principale, quello dal Sudan all’oasi libica di Kufra, nel sud-est del paese. Qui arriva chi parte dal Sudan e dal Corno d’Africa.

 

Ma i traffici coinvolgono in realtà tutti i confini libici e gran parte delle milizie, sia quelle schierate con Tripoli sia quelle con Tobruk, e in nome degli affari le varie parti in conflitto in Libia hanno siglato una specie di pre-accordo surreale, mentre ancora le richieste di cessate il fuoco dell’Onu e della comunità internazionale restano inascoltate. Le alleanze nei traffici sono variabili. I tuareg per esempio si accordano con i misuratini che hanno occupato Sabha su mandato del governo di Tripoli, ma allo stesso tempo facilitano i transiti dei jihadisti verso Niger, Algeria e Mali, proprio nella cittadina di Ubari, permettendo i passaggi verso Sirte e Derna occupate dallo Stato islamico.

 

Le milizie di Zintan, confluite nel legittimo governo di Tobruk, controllano buona parte del confine con l’Algeria e parte di quello con la Tunisia e favoriscono l’ingresso di hashish, cocaina e farmaci, mentre più a nord varie milizie “islamiste” sono coinvolte in traffici di droga ed esseri umani a Zuwara, Sabrata, Zawya e al Khums. Un report dettagliato dei traffici illeciti in Libia pubblicato dall’United States Institute of Peace lo scorso anno ha descritto minuziosamente le rotte, gli scambi e gli attori coinvolti. La città a prevalenza berbera di Zuwarah, in particolare, appare come un hub per la raccolta dei migranti e per gli affari di trafficanti e mediatori. Qui, anche attraverso passaggi aerei in Tunisia, Algeria ed Egitto, sono transitati buona parte dei profughi siriani poi giunti in Italia nel 2014, circa 40 mila. Via mare da Egitto e Tunisia arrivano da qualche tempo anche i barconi utilizzati per attraversare il Mediterraneo, sempre più carenti in Libia. Gli scambi con l’Egitto si concentrano nella zona di Siwa, altra oasi desertica ma in territorio egiziano: i miliziani, soprattutto jihadisti, bypassano le zone minate risalenti alla Seconda guerra mondiale nei primi chilometri di frontiera tra i due paesi e fanno transitare verso la Libia migranti mentre passano in Egitto armi destinate alla campagna in Sinai.

 

 

[**Video_box_2**]Il vantaggio degli islamisti

Il quadro si complica se si conta che la sicurezza nelle strade delle maggiori città libiche è garantita da accordi instabili tra le milizie (alcune si autodefiniscono come unità anti crimine) e le rimanenti forze di polizia: un contesto che garantisce ampia impunibilità ai delinquenti. Se, come alcuni osservatori internazionali stimano, la Banca centrale libica nei prossimi 7-8 mesi non sarà più in grado di effettuare pagamenti e comprare derrate alimentari, l’unica fonte di sostentamento delle milizie rimarranno i traffici clandestini e il racket derivante dal controllo territoriale, e questo contribuirà ulteriormente alla diffusione dell’illegalità nel paese. In questo contesto, è facile supporre che possano avere sempre maggior successo le milizie islamiche radicali, come Ansar al Sharia e quelle autoproclamatesi parte del Califfato di Abu Bakr al Baghdadi, che fanno del controllo territoriale e della dawa (l’attività di assistenza alla popolazione in sostituzione dello stato assente) il loro punto di forza per conquistare il sostegno dei libici.

 

Arturo Varvelli è Research Fellow presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi)

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