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Revisioni salva Piano
I limiti del Pnrr e le stime al ribasso di Bce, Mef e Upb: meno crescita e più tardi
Le revisioni del piano hanno creato, all’inizio, molti malumori ma forse è arrivato il momento di riconoscere che proprio alle revisioni dobbiamo la possibilità che il programma arrivi in porto ordinatamente e consegua almeno in parte i suoi traguardi
La convinzione diffusa è che, se non ci fosse stato il Pnrr, l’Italia avrebbe registrato tassi di crescita negativi. Sarebbe, per dirla in volgare, in recessione. Si arriva a questa conclusione semplicemente sottraendo al tasso di crescita osservato in un determinato anno – ad esempio lo 0,4 per cento previsto per il 2025 – l’impatto del Pnrr sul pil previsto da questa o quella istituzione italiana o sovranazionale. Prescindendo dalla visione, come dire idraulica dell’economia che è sottesa a questa affermazione, è una conclusione che non tiene nel dovuto conto gli ampi margini di incertezza che ancora circondano l’impatto del Piano nazionale di ripresa e resilienza nonostante il programma stesso sia ormai, se non ai titoli di coda, alle sue ultime battute.
La Banca centrale europea stimava, nel 2022, che l’impatto del programma sarebbe stato pari a 3,4 punti percentuali di prodotto nel quadriennio 2021-2024, a cui si sarebbero aggiunti ulteriori 2 punti percentuali nel biennio 2025-2026. A soli due anni di distanza, nel 2024, la medesima Bce valutava lo stesso impatto pari a 1 punto percentuale nel primo quadriennio e 3,9 punti percentuali nel secondo biennio, ridimensionando così l’impatto macroeconomico complessivo del programma e spostandolo significativamente in avanti nel tempo. In Italia, il ministero dell’Economia e l’Ufficio parlamentare di bilancio si attestavano nel 2023 su una più prudente valutazione: 2,1 punti percentuali per il Mef e 2,2 punti percentuali l’Upb nel quadriennio 2021-2024, e ulteriori 1,3 punti percentuali per il Mef e 0,7 punti percentuali l’Upb nel biennio 2025-2026. Salvo poi rivedere significativamente al ribasso e/o spostare in avanti queste cifre a soli due anni di distanza: 0,8 punti percentuali il Mef e 1,4 punti percentuali l’Upb per il periodo 2021-2024 e poi 1,3 e 1,5 punti percentuali, rispettivamente, il Mef e l’Upb per il successivo biennio. Insomma, l’unica conclusione ferma è che più il tempo passa e meno ci aspettiamo dal Pnrr, e quel che ci aspettiamo non sappiamo nemmeno quando, esattamente, aspettarcelo.
Di tutto ciò si fa spesso una colpa alla pubblica amministrazione italiana e ai suoi tanti limiti (anche se proprio in occasione del Pnrr qualche passo in avanti si è registrato). Bisogna dirsi, invece, con franchezza, che le responsabilità principali vanno ricercate nel modo in cui programma Next Generation Eu (Ngeu) è nato e nel modo in cui è stato inizialmente da noi declinato. La realtà dei fatti è che il programma Ngeu ha avuto fin dall’inizio un carattere risarcitorio: di più a chi aveva sofferto maggiormente durante la pandemia senza aver potuto adeguatamente reagire per via di una pesante debito pubblico. Il Ngeu – per come era stato disegnato – alle future generazioni di europei e quindi al futuro dell’Europa aveva ben poco da dire e da dare se non un titolo e un bel po’ di debito (comune, e almeno questa è una buona notizia). Arrivato in Italia e incarnatosi nel Pnrr, il Ngeu non ha fatto altro se non rendere ancora più evidenti i suoi limiti. Di questa realtà i principali protagonisti sono diventati, nel tempo, pienamente consci, come testimoniato dalla progressione temporale delle loro stesse valutazioni.
Qui non si tratta di dare pagelle alla classe politica italiana ma è (o dovrebbe) ormai essere a tutti evidente che c’è stato un governo che ha arraffato scompostamente tutto quel che poteva senza avere la più pallida idea di cosa farne e, di conseguenza, mettendo insieme, alla bell’e meglio, un programma di investimenti in larga misura rivolto al passato e infarcendolo di interventi spesso anche minuti se non proprio marginali destinati a non lasciare traccia. C’è stato un secondo governo che avrebbe potuto, sia pure in ritardo, invertire la rotta ma che lo ha fatto solo in misura marginale. E ce n’è stato un terzo che, a partita ormai in corso da tempo e con l’aiuto di una Commissione europea finalmente consapevole, ha fatto (e sta facendo) quanto poteva per raddrizzare un percorso storto fin dall’inizio.
Le cosiddette “revisioni” del Pnrr hanno creato, all’inizio, molti malumori ma forse è arrivato il momento di riconoscere che proprio alle revisioni dobbiamo la possibilità che il programma arrivi in porto ordinatamente e consegua almeno in parte i suoi obbiettivi. Obbiettivi che – sarebbe bene non dimenticarlo – vanno molto oltre l’impatto sui livelli di attività e riguardano il ruolo stesso dell’Europa nel mondo.