Foto:Ansa. 

L'analisi

L'effetto Trump sul mercato europeo dei farmaci: prezzi più alti?

Paolo Belardinelli e Carlo Stagnaro

L’ordine esecutivo Usa che spinge le aziende a proteggere i margini americani: o l’Europa alza i prezzi, o perde priorità nei lanci dei farmaci più innovativi. Il caso britannico anticipa il bivio che attende anche l’Italia

Chiusa la legge di Bilancio, con il rifinanziamento della sanità per circa 7 miliardi di euro, i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti e della Salute Orazio Schillaci dovranno ragionare su quello che potrebbe diventare un enorme problema: gli impatti delle politiche trumpiane sul settore farmaceutico. Infatti, le ultime mosse del presidente degli Stati Uniti mettono sotto enorme pressione i sistemi sanitari europei.

Tutto comincia con un ordine esecutivo del 12 maggio: le imprese farmaceutiche non potranno vendere i loro prodotti nell’ambito dei programmi Medicare e Medicaid (la sanità pubblica per gli anziani e per gli individui a basso reddito) a un prezzo superiore a quello praticato in un gruppo di paesi di riferimento. Tali paesi sono il Regno Unito, la Francia, la Germania, l’Italia, il Canada, il Giappone, la Danimarca e la Svizzera. Trump ha dalla sua un grano di ragione: l’ordine esecutivo prende le mosse dalla constatazione che “gli Stati Uniti hanno meno del 5 per cento della popolazione mondiale eppure finanziano circa i tre quarti dei profitti farmaceutici globali” (ne aveva discusso Luciano Capone sul Foglio del 14 maggio). Adesso però la palla passa in Europa, e in particolare nei paesi – tra cui l’Italia – che concorrono a determinare il prezzo di riferimento. Tra l’altro, tale parametro non tiene conto soltanto dei prezzi di listino, stabiliti a valle di un negoziato tra l’Aifa e le aziende farmaceutiche: pesano anche le politiche come il nostro “payback”, che di fatto impongono alle imprese una compartecipazione agli sforamenti di spesa delle regioni, riducendone i ricavi (e gli utili) complessivi ex post. Cioè, all’atto pratico, equivalgono a un taglio dei prezzi.

Dal suo punto di vista, il presidente americano intende mitigare lo squilibrio che vede i consumatori Usa pagare prezzi altissimi, di fatto finanziando gran parte della ricerca e sviluppo di cui beneficia il resto del mondo. Nondimeno, il rischio è che il nuovo sistema non produca gli effetti sperati oltreoceano, ma inneschi strategie di compensazione da parte delle case farmaceutiche a nostro discapito. Le imprese potrebbero infatti decidere di non immettere nell’Unione europea i farmaci più innovativi e, addirittura, ritirare i farmaci su cui i profitti sono limitati, per evitare che i prezzi troppo bassi abbiano contraccolpi oltreoceano. Meglio rinunciare al mercato italiano che perdere i margini su quello americano. Dal canto nostro, non si può non tenere conto del nuovo scenario, che rende insostenibili le attuali politiche di pricing sui farmaci.

Un’idea dei meccanismi che si sono innescati possiamo farcela osservando l’accordo che il Regno Unito ha concluso con gli Stati Uniti a inizio dicembre. Come parte di un’intesa più ampia che garantisce l’esenzione dai dazi a tutti i farmaci prodotti nel Regno Unito, il premier britannico Keir Starmer si è impegnato ad alzare del 25 per cento i prezzi riconosciuti dal servizio sanitario nazionale, a raddoppiare in dieci anni la spesa sui medicinali innovativi (dallo 0,3 allo 0,6 per cento del pil) e, soprattutto, a rivedere uno schema chiamato Vpag (Voluntary scheme for branded medicines pricing, access and growth), i cui effetti sono simili al nostro payback. In particolare, nel 2026 la quota a carico delle imprese scenderà dal 23 per cento al 15 per cento. Sul sito del governo britannico, queste misure vengono presentate come garanzia alla continuità dell’accesso ai trattamenti più recenti: “Questo incoraggerà le aziende farmaceutiche di tutto il mondo a dare priorità al Regno Unito per il lancio precoce dei loro nuovi medicinali, consentendo ai pazienti britannici di essere tra i primi a livello globale ad accedere a terapie innovative e rivoluzionarie”.

L’accordo firmato tra Washington e Londra suggerisce che in America sono consapevoli che la redistribuzione del finanziamento alle aziende farmaceutiche avverrà solo se nei paesi europei si alzeranno i prezzi. A chi non starà a questo gioco, non resterà che stare a guardare gli altri godere dei farmaci più innovativi.

Di più su questi argomenti: