Foto:Ansa. 

90 Minuti di Applausi

Il golden autogol della destra sull'oro nella partita con la Bce

Luciano Capone

Borghi e Fazzolari esultano, ma la norma riformulata e dettata dai Trattati e Francoforte nega la loro “battaglia storica”: Palazzo Koch detiene, gestisce e ha le riserve auree nel proprio stato patrimoniale. Dunque, non ha più senso chiedersi di chi è la “proprietà”

La discussione sulle riserve auree è stata la più inutile e surreale della legge di Bilancio, sebbene i partiti di maggioranza ne segnalino l’importanza “storica”, addirittura. “L’emendamento è stato stato doveroso e molto importante – ha detto ieri al Senato Claudio Borghi, della Lega –. L’oro appartiene al popolo italiano e quindi allo stato”.

Nei giorni scorsi, l’esponente vicino a Matteo Salvini era stato più epico: “E’ una mia battaglia di 11 anni. Penso che sia una delle cose più importanti di questa manovra. Riaffermare il principio che appartiene al popolo italiano ci riporta nella normalità”. Sulla stessa lunghezza d’onda i principali esponenti di Fratelli d’Italia: “Tra le questioni importanti, simboliche, che ci ricorderemo di questa esperienza di governo c’è il fatto che, con l’assenso della Bce abbiamo ribadito che le riserve auree italiane appartengono al popolo italiano”, ha commentato Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario e bracio destro di Giorgia Meloni. L’autore dell’emendamento, il capogruppo di FdI al Senato Lucio Malan, ha rivendicato il successo di una “battaglia storica” del partito: “Già nel 2014 Giorgia Meloni presentò un ordine del giorno e nel 2019 ci fu una mozione di Giovanbattista Fazzolari”.

Non è ben chiaro se gli esponenti del centrodestra non si rendano conto di essere stati raggirati oppure se vogliano prendere in giro i propri elettori. Perché il testo dell’emendamento approvato, rivisto rispetto alla sua formulazione iniziale, afferma l’esatto contrario delle proposte sovraniste di Lega e FdI. E’ bastato togliere alcune parole e aggiungerne altre per stravolgere il senso di quell’antica rivendicazione, cavalcata quando i partiti di destra volevano uscire dall’euro. La proposta di legge di Borghi del 2018 diceva che la legge italiana andava interpretata nel senso che “la Banca d’Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, rimanendo impregiudicato il diritto di proprietà dello Stato italiano su dette riserve”. Lo scopo era affermare che la Banca d’Italia (e quindi la Bce) era un semplice custode dell’oro, che in realtà è di proprietà dello Stato (ovvero del governo). 

Quella proposta fu bocciata nel 2019 da un parere legale della Bce (il presidente era Mario Draghi) che, pur non esprimendosi sulla “nozione di proprietà”, fissava alcuni paletti: la detenzione e la gestione delle riserve è, secondo i Trattati europei, di esclusiva competenza delle banche centrali che decidono in “completa autonomia”. Il che, inoltre, implica che le riserve auree “devono essere iscritte nello stato patrimoniale delle Banche centrali nazionali o della Bce”, perché spostare l’oro nel bilancio del Tesoro avrebbe violato l’art. 123 del Trattato sul funzionamento dell’Ue che proibisce il finanziamento monetario agli stati. Pertanto, la Bce proponeva di “cancellare” il passaggio della proposta di legge Borghi in chi si diceva che la Banca d’Italia detiene e gestisce l’oro “ad esclusivo titolo di deposito”.

La mozione del 2019 di Fazzolari, attuale sottosegretario a Palazzo Chigi, riprendeva esattamente gli stessi concetti della proposta di Borghi: affermava che la Banca d’Italia ha le riserve auree “ad esclusivo titolo di deposito” e che, pertanto, “le riserve auree sono di proprietà dello Stato italiano e non della Banca d’Italia”. All’epoca Fazzolari affermava chiaramente che lo scopo della sua mozione e della battaglia politica di FdI era contrastare la tesi giuridica secondo cui “la proprietà dell’oro è di Bankitalia e quindi non è nella disponibilità dello Stato”, ovvero del governo.

Tutto questo è completamente assente dal testo finale della legge di Bilancio in approvazione oggi dal Senato, che ora è perfettamente allineato ai paletti fissati dalla Bce: afferma l’esatto opposto di ciò che volevano Borghi e Fazzolari. Nella sua versione iniziale l’emendamento Malan affermava: “Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del Popolo italiano”. La riformulazione, che ha accolto tutte le critiche di Christine Lagarde e del parere del 2019 di Draghi, ora dice: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 123, 127 e 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” la legge “si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia, come iscritte nel proprio bilancio, appartengono al Popolo italiano”.

Tre sono i cambiamenti sostanziali rispetto al progetto originario. Il riferimento agli articoli del Trattato delimita il perimetro legale europeo: il Sistema europeo delle banche centrali e la Bce hanno la “competenza esclusiva” sulla politica monetaria e uno dei loro compiti fondamentali è detenere e gestire “in via esclusiva” le riserve degli stati membri in assoluta indipendenza dai governi. Questa parte è chiaramente incompatibile con la pretesa di relegare la Banca d’Italia al ruolo “esclusivo” di depositario: non a caso la formula “ad esclusivo titolo di deposito” non c’è più. Nella nuova versione non c’è neppure più scritto che le riserve “appartengono allo Stato, in nome del Popolo italiano” bensì che sono “iscritte nel bilancio” della Banca d’Italia e “appartengono al Popolo italiano”. Questo passaggio evita qualsiasi possibile pretesa del governo specificando che le riserve sono nella piena disponibilità della banca centrale nazionale e del Sistema europeo per conto del “popolo italiano”. A questo punto, se Palazzo Koch detiene, gestisce e ha le riserve auree nel proprio stato patrimoniale non ha più senso chiedersi di chi è la “proprietà”.

Se l’obiettivo dell’odg Meloni del 2015 e della mozione Fazzolari del 2019 era stabilire che “le riserve auree sono di proprietà dello Stato italiano e non della Banca d’Italia”, il testo che ora approvano su indicazione della Bce è l’ultimo chiodo nella bara di quella loro antica rivendicazione. Per questo è surreale vedere gli esponenti di FdI e Lega esultare sotto la curva per aver fatto un gol nella propria porta. Ma se alla fine anche i tifosi sono contenti per lo splendido autogol dei loro campioni, tutti possono ritenersi soddisfatti.

 

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali