Ansa

La realtà non si batte

Sulle pensioni tornare indietro non si può. Disegnino per capirlo

Giuliano Cazzola

Bisogna stare attenti a non passare nel campo di coloro che criticano la riforma del 2011 e il governo perché non l'ha abrogata. Sulle pensioni quello dell'esecutivo è un ravvedimento operoso: mettere da parte su tanti aspetti cruciali il programma elettorale è stato un bene per l’Italia

Osservando gli emendamenti del governo sulle pensioni è consentito essere sorpresi. Sono trascorsi pochi giorni da quando il sottosegretario Claudio Durigon, plenipotenziario di Salvini in materia previdenziale. giurava in un’intervista che nel 2026 avrebbe cancellato ogni traccia, anche modesta, di incremento dell’età pensionabile. E da quando è tornato ad essere operativo (dopo il blocco decretato dal governo giallo-verde) il meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti anagrafici e contributivi, in ragione di un biennio, sono trascorsi diversi mesi durante i quali il kombinat Lega/Cgil protestava perché nel 2027-2028 i trend demografici prefiguravano un incremento di tre mesi (che costituisce poi il limite massimo di variazione).

 

Così il governo nel testo del ddl di bilancio si era rassegnato alla pagliacciata di rateizzare nel biennio i tre mesi in più. E’ bene tenere presente che oggi l’età media alla decorrenza delle pensioni anticipate è pari a 61,7 anni e che il 66 per cento di questo trattamento nei settori privati riguarda gli uomini. Rimaneva un grosso punto di domanda su quello che sarebbe avvenuto già nel 2029, tenendo conto della circostanza ribadita in coro da tutte le agenzie nazionali e internazionali, che l’applicazione di quel meccanismo rappresentava la principale condizione di sostenibilità del sistema. Il nuovo emendamento del governo non segue le modalità di applicazione del meccanismo, ma – come è avvenuto tante volte in passato – ricorre al metodo delle c.d. finestre ovvero a posticipare di qualche mese la riscossione della prestazione rispetto alla maturazione del diritto. E’ una soluzione più rozza, ma l’effetto è il medesimo: il soggetto interessato va in pensione di anzianità più tardi. Vedremo se il governo sarà in grado di mantenere la posizione, regolando i problemi già emersi nella sua maggioranza.

 

E le opposizioni? E’ comprensibile cedere alla tentazione di spernacchiare Matteo Salvini, che ha condotto una campagna disonesta e bugiarda contro la riforma Fornero con iniziative ripugnanti nei confronti dell’ex ministro. Attenzione però, a non passare nel campo di coloro che criticano la riforma del 2011 e il governo perché non la ha abrogata come aveva promesso, ma ha invertito, invece, la linea di condotta che aveva portato ad incentivare l’esodo anticipato. Sulle pensioni come sulla politica di bilancio e la tenuta dei conti pubblici quello del governo è un ravvedimento operoso; il fatto che l’esecutivo e la sua maggioranza abbiano messo da parte su tanti aspetti cruciali il programma elettorale è stato un bene per l’Italia che meriterebbe di essere riconosciuto come tale. Quanto all’elettorato del centro destra – visti i sondaggi - non sembra che se la sia presa più di tanto; poi, alla fine, saranno fatti suoi. Nel settembre del 2022, quando nelle elezioni anticipate si profilava l’exploit di Giorgia Meloni, Enrico Letta, allora segretario del Pd, fece un giro in Europa mettendo in guardia i partner sui disastri che sarebbero derivati da una vittoria dell’alleanza di centro destra, proprio sul terreno della finanza pubblica. In quell’occasione sia Ursula Von Der Leyen sia Olaf Scholz rilasciarono dichiarazioni che suonarono come un’ingerenza negli affari italiani.

 

Certo, nessuno si aspettava che il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti (lo stesso che alla presidenza del Consiglio aveva fatto da “badante’’ al governo Conte 1) comprendesse che con gli attuali andamenti demografici, schiacciati tra invecchiamento e denatalità, per le pensioni ci attendono solo freddo e stridore di denti. E riconoscesse il valore delle riforme dei governi precedenti: “Parliamo spessissimo di pensioni e poco della sostenibilità del sistema – affermò in una intervista – Senza le riforme Maroni, Sacconi e Fornero oggi l'Italia spenderebbe 60 miliardi in più all’anno (3 per cento del pil) e avrebbe molti meno occupati’’.

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