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Francoforte-Washington

Il nervosismo della Fed e della Bce

Mariarosaria Marchesano

A Francoforte Schnabel riporta l’asse in modalità “hawkish” mentre Bank of America prevede una politica ancora moderatamente espansiva per la Eurotower. Intanto a Washington si continua a tagliare nonostante l'inflazione che sale e una crescita  tenua. I mercati temono decisioni in antitesi con i dati

Isabel Schnabel, uno dei “falchi” del board della Bce, in una recente intervista a Bloomberg si è detta fiduciosa nel fatto che la prossima mossa sarà un rialzo dei tassi d’interesse e ha giustificato l’affermazione sulla base di aspettative di mercato, che, a suo dire, sono di un incremento del costo del denaro, senza però indicare la tempistica. Peccato che gran parte delle previsioni di analisti e investitori prevedano una pausa sui tassi nella riunione del 18 dicembre e qualcuno, come Bank of America, stimi due ulteriori tagli nel 2026.

Chiara Angeloni, economista per l’Europa della banca d’affari statunitense, in un incontro con la stampa che si è svolto a Milano ha considerato “controcorrente” la posizione di Schnabel. “Crediamo che almeno per un po’ la Bce manterrà una politica monetaria moderatamente espansiva in considerazione di una crescita che nell’Eurozona sta rallentando rispetto a quella che si registra negli Stati Uniti e in Cina e di un’inflazione destinata a mantenersi sotto il livello del 2 per cento nei prossimi due anni”, ha spiegato Angeloni, che in passato ha lavorato nella DG Research della Bce, oltre che per il think tank Bruegel. “Vediamo due nuove riduzioni dei tassi entro la prossima primavera ma non escludiamo l’inizio di un percorso di rialzi verso la fine del 2026 se, come ci aspettiamo, le prospettive economiche dell’Eurozona miglioreranno a partire dal 2027”.

Insomma, semmai ci sarà un rincaro del costo del denaro, avverrà non prima di un anno. Sarà che alla Bce è cominciata la corsa alla successione di Christine Lagarde e che l’economista tedesca Schnabel potrebbe essere il candidato dei paesi nord europei (“se me lo chiedono sono disponibile per l’incarico”, ha dichiarato), sta di fatto che la sua fretta di comunicare il ritorno a un approccio “hawkish” della Bce è difficilmente spiegabile se non, appunto, con il clima da campagna elettorale che si respira a Francoforte.

Ma non è nulla a confronto dei rombi di tuono che si sentono intorno alla Federal Reserve. La banca centrale guidata da Jerome Powell ha di recente tagliato i tassi dello 0,25 per cento pur di fronte alla evidente tenuta dell’economia americana e di persistenti pressioni inflazionistiche e, spiega Angeloni, “la nostra previsione è che il nuovo presidente apporterà almeno altri due tagli entro la prossima estate”. In questo momento, l’unico dato che potrebbe supportare la decisione della Fed verso nuove riduzioni è quello sugli occupati che sembra indicare un indebolimento del mercato del lavoro. Un’altra contraddizione difficile da spiegare rispetto a all’economia prevista in crescita spinta dagli stimoli fiscali del trumpiano “Big Beatiful Bill”: secondo Bofa, il pil americano passerà al 2,4 per cento il prossimo anno rispetto al 2 per cento del 2025 con l’inflazione al 3 per cento. Il dato di novembre è arrivato in forte ritardo per via dello shutdown, da parte del Bureau of Labor Statistic, la cui precedente commissaria, Erika Mc Entarfer, è stata licenziata da Trump e sostituita con il più fedele economista E.J.Antoni.

La morale della favola è che le banche centrali sembrano sull’orlo di una crisi di nervi sottoposte come sono a crescenti pressioni politiche. “I mercati cominciano a vedere come concreto il rischio di un errore di politica monetaria con decisioni in antitesi con i dati macroeconomici”, osserva Angeloni. Il discorso vale soprattutto per la Federal Reserve, dove l’era di Powell è praticamente terminata con l’arrivo nel comitato di Stephen Miran voluto dalla Casa Bianca. Ma l’uscita di Schnabel dice che anche a Francoforte aleggia un certo nervosismo. Sebbene l’autonomia decisionale dell’Eurotower non sia in discussione, il vento freddo del nord Europa si sta alzando sulla riunione di giovedì con i falchi che stanno spiegando le ali. “Al momento – riflette l’analista di Bofa – non ci sono evidenze che possano suggerire un aumento dei tassi da parte della Bce. Le nostre previsioni indicano una crescita dell’Eurozona dell’1 per cento nel 2026 rispetto all’1,4 per cento di quest’anno a fronte di un tasso di inflazione che il prossimo anno scenderà all’1,6 per cento rispetto al 2,1 per cento del 2025”.

Vero è che il quadro potrebbe mutare tra un anno, quando, secondo Angeloni, il Recovery Plan avrà dispiegato tutti i suoi effetti sulla crescita dell’area. Ma anche in quel caso, l’inflazione resterà sotto il 2 per cento nel 2027 (1,8 per cento) determinando, secondo l’analista, il fenomeno dell’inflation undershooting, cioè quando il livello dei prezzi resta stabilmente sotto l’obiettivo. Un effetto indesiderato?

 

 

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