Foto LaPresse
automotive
Il 2035 a scoppio ritardato. Un contentino ai motori termici che cambia poco le cose
Nel tentativo di correggere il bando, Bruxelles moltiplica vincoli e paradossi: obiettivi climatici marginali a livello globale, regole iper-dettagliate e un apparato normativo che confonde l’industria, favorisce i concorrenti extra-Ue e rischia di trasformare il Green Deal in un boomerang politico per l’Ue
L’impressione generale che per risolvere il pasticcio fatto con il divieto di immatricolazione delle auto con motore termico al 2035 e rispondere a tutte le critiche che vengono anche da settori moderati del Parlamento europeo, la Ue ne abbia fatto uno ancora più grande. Se la precedente misura era stata accusata di un certo fondamentalismo, di un eccesso di regolazione e della violazione del principio di neutralità tecnologica, le nuove misure non scherzano. Definiscono nel dettaglio quali tipi di combustibili e quali tecnologie si potranno utilizzare. E’ vero che qualche passo in avanti (secondo i Verdi indietro) è stato fatto allungando i tempi per il rispetto degli standard emissivi previsti e sdoganando l’uso dei biocombustibili nei motori termici, decisione a cui l’Italia teneva molto, ma rimangono obbiettivi impossibili da raggiungere. Insomma è stato dato un contentino ai motori a scoppio che cambia di poco le cose. Ma questo non è nemmeno il problema principale. Perché sembra che a Bruxelles non sappiano fare di conto e non conoscano né gli ordini di grandezza né la geografia mondiale.
Il settore del trasporto privato pesa per il 12 per cento sul totale delle emissioni di CO2 europee, che ricordiamolo, sono il 6 per cento del totale mondiale, in costante diminuzione visto che aumentano quella del resto del mondo al ritmo del 2 per cento anno. Quando anche si riuscisse a ridurre del 50 per cento quel 12 per cento – le vecchie auto termiche resteranno in funzione per almeno altri 10 anni dopo il 2035 – una riduzione del 6 per cento sul totale europeo pesa a livello mondiale per meno dell’1 per cento. Perché si sia montato questo enorme apparato regolatorio, unico al mondo, che ha solo creato confusione fra le industrie automobilistiche e spalancato le porte alle auto cinesi, fra poco costruite in Europa e quindi prive di dazi, per obbiettivi ridicoli di riduzione delle emissioni, è un mistero che trova una risposta solo nella pessima eredità di Timmerman e del suo gabinetto di fondamentalisti verdi. Non mancano aspetti paradossali come l’obbligo di realizzare le auto con acciaio decarbonizzato. Le lamiere piane che servono per l’automotive si fanno in tutto il mondo negli altiforni utilizzando il minerale di ferro mescolato al carbone. Quindi sarebbe necessario un doppio salto mortale: nell’industria dell’auto e in quella dell’acciaio. L’auto elettrica è destinata a prevalere nel futuro mix del parco automobilistico mondiale. Per ragioni di costo e di semplicità prima di tutto. Bastava lasciare che fossero il mercato e i consumatori a decidere, mano a mano che le batterie aumentano la loro densità energetica e i distributori si dotano degli impianti di ricarica veloce. Soprattutto non si capisce perché l’ Europa insista con obbiettivi insignificanti rispetto al bilancio mondiale delle emissioni. O meglio lo si capisce perfettamente visto che il Green deal è praticamente l’unico collante della maggioranza Ursula. Solo che in questo modo si presta il fianco a tutti i partiti sovranisti e anche peggio, inoltre antieuropei, che stanno gonfiando le vele in vista delle prossime scadenze elettorali. Francia e Germania in primo luogo e non mi pare poco. Così il Green deal corre il rischio di essere la tomba dell’Europa.