“L'agricoltura non vuole fare la fine dell'automotive”. Parla Giansanti
Oltre 10 mila agricoltori in marcia a Bruxelles da 27 paesi Ue. Chiedono sostegno al mercato interno, reciprocità commerciale e più risorse alla Pac. “Von der Leyen le ha tagliate del 20 per cento, è una sorta di disarmo unilaterale del cibo”, dice il presidente di Confagricoltura
Domani gli agricoltori europei marceranno a Bruxelles, in occasione dell’arrivo dei capi di stato e di governo per il Consiglio europeo, l’ultimo del 2025. È preannunciata come la più grande protesta delle organizzazioni agricole nel cuore dell’Unione europea da oltre un decennio, con oltre 10 mila partecipanti da oltre 40 organizzazioni dei 27 stati dell’Ue.
Gli agricoltori europei si danno appuntamento a Bruxelles il prossimo 18 dicembre, quando nella capitale belga arriveranno i capi di stato e di governo per l’ultimo Consiglio europeo del 2025. Ma per cosa manifestano? “Siamo a Bruxelles per rivendicare protagonismo, perché dove c’è un’agricoltura forte c’è una democrazia forte”, dice al Foglio Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, che pochi giorni fa all’Assemblea della sua organizzazione ha presentato una relazione dal titolo “Agricoltura, economia, democrazia” proprio perché, dice, “Non sono tre concetti distinti, sono una catena indissolubile che tiene in piedi la nostra società”.
Giansanti ha sempre rappresentato una voce moderata, che preferisce l’interlocuzione con le istituzioni alla protesta di piazza, e forse proprio per questo è stato il primo italiano dopo decenni a essere eletto presidente del Copa, l’associazione che riunisce le organizzazioni agricole europee. Ma stavolta ritiene che la mobilitazione sia necessaria. “Crediamo che l’agricoltura sia un asset strategico tanto per l’Europa quanto per l’Italia, e vogliamo evitare in maniera molto pacifica che accada all’agricoltura ciò che accaduto all’industria dell’automotive”, dice riferendosi un’industria in crisi anche per le decisioni di politica industriale dell’Ue, che ora è costretta a rivedere parzialmente i divieti al motore termico imposti per il 2035. “La Fao dice che in questi anni il carrello della spesa a livello mondiale è aumentato del 30 per cento, l’agricoltura europea permette di non dipendere dalle importazioni mantenendo qualità delle produzioni e prezzi equi”.
Cosa proponete e contro cosa vi opponete? “Vogliamo rafforzare il mercato del food and drink europeo, che ora è il primo al mondo e sembra destinato a diventare il quarto dopo Cina, India e Stati Uniti. Purtroppo la visione della presidente von der Leyen, che ha tagliato le risorse della Pac del 20 per cento, è una sorta di disarmo unilaterale del cibo”, dice Giansanti usando un termine ora in voga per la difesa, proprio perché ritiene l’agricoltura un elemento della “sicurezza” geopolitica dell’Europa. “In un contesto in cui la Commissione incrementa le risorse del bilancio a 2 mila miliardi di euro: ci aspettavamo maggiori risorse, non meno. Soprattutto perché il mercato globale è sempre più agguerrito e competitivo e sempre più protetto, basti pensare ai dazi di Trump”.
Eppure von der Leyen ha fatto qualche passo in avanti, abrogando o rinviando buona parte delle misure introdotte nella sua precedente Commissione. “La fase più buia del Green deal non è totalmente archiviata. Basti pensare al Cbam (il tributo ambientale sulle emissioni di carbonio delle merci importate, ndr) che per gli agricoltori comporterà un aumento del 30 per cento del prezzo dei fertilizzanti, che già paghiamo di più per i dazi su Russia e Bielorussia. Questi costi che vengono caricati sul settore primario, poi si scaricano sul carrello della spesa. Poi c’è la continua riduzione di molecole necessarie per curare le malattie delle piante e degli animali, che sono sempre più frequenti per gli effetti del cambiamento climatico”.
Infine c’è la protesta contro l’accordo con il Mercosur, che però è strategico per gli approvvigionamenti di materie prime critiche e per l’export dell’industria europea, soprattutto dopo i dazi di Trump. “Capisco che alcuni settori del paese e dell’Europa ne traggano enorme vantaggio – dice Giansanti – ma il nostro settore è fortemente danneggiato. Vogliamo solo che reciprocità negli alti standard di produzione. E’ un po’ assurdo che dopo averci imposto sacrifici con il Green Deal, ora l’Ue ci chieda di rinunciare a quel vantaggio competitivo”. Ma il settore agroalimentare è diviso: l’industria alimentare e il settore agricolo che esporta, dai vini alle Dop, sono favorevoli all’abbattimento dei dazi e all’apertura del mercato sudamericano. “Non siamo contro gli accordi di libero scambio, Abbiamo sostenuto il Ceta con il Canada e l’accordo con il Giappone, perché erano buoni accordi. Questo non lo è, perché ci chiede di pagare il conto. Capisco che l’industria alimentare veda nel Sud America un mercato di sbocco – conclude il presidente di Confagricoltura – ma sarebbe preferibile aprire un dialogo con gli Stati Uniti sui dazi, perché parliamo di popolazioni con un pil pro capite molto diverso”.