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Roma-Parigi-Bruxelles
Sul Mercosur Meloni può strizzare l'occhio a Macron e irritare la Commissione
L'Italia è l’ago della bilancia tra la richiesta francese di rinviare il voto e il calendario di Lula e Ursula von der Leyen: senza un sì in Consiglio la prossima settimana, la firma Ue-Mercosur slitta e da Bruxelles cresce l'ansia di perdere peso geopolitico su materie prime e tutele mentre Washington e Pechino avanzano
Il presidente brasiliano Lula ha già fissato date e cerimonie: riunione preparatoria il 19 dicembre tra i paesi del Mercosur, e il 20 la firma con l’Ue sull’accordo commerciale. Location:Foz do Iguaçu, la triplice frontiera tra Brasile, Argentina e Paraguay. L’unico dettaglio è che a Bruxelles manca ancora il voto del Consiglio. Senza quel via libera all’accordo commerciale con i paesi del Sud America, Ursula von der Leyen può anche disfare la valigia.
Ma cosa sta bloccando il voto? La matematica, per una volta, è più chiara della politica. A favore ci sono tutti tranne Francia, Polonia, Ungheria, Belgio, Austria e Irlanda. Con l’appoggio dell’Italia la maggioranza qualificata c’è: 65 per cento della popolazione. Così la premier Giorgia Meloni è l’ago della bilancia. E quando l’ago oscilla a Bruxelles cresce l’ansia. Qualcuno ha ipotizzato un cambio di linea del governo italiano rispetto a settembre, quando era arrivato il sì all’accordo. Ma mentre a Bruxelles ripetono che i tempi sono già stabiliti, da Roma filtra l’idea che si possa rinviare la firma dell’accordo anche a gennaio. Secondo quanto ricostruito dal Foglio, il governo italiano non ha cambiato linea rispetto a settembre e resterebbe favorevole all’intesa, ma sta valutando se assecondare le richieste del presidente francese Macron che chiede tempo. Infatti, per la Francia la firma dell’accordo è ora una vera e propria bomba a orologeria, a causa delle forti critiche da parte degli agricoltori e per una situazione interna che tra bilancio da votare, deficit e maggioranze fragili fa tremare l’Eliseo.
Ma il punto, a Bruxelles, è anche un altro: i funzionari europei sono stati a Washington per continuare a discutere di dazi e concessioni su acciaio, alluminio e derivati, e non sono arrivati segnali di svolte rapide. In questo quadro, chiudere l’accordo con il Mercosur è cruciale. Un ex negoziatore del lato sudamericano lo dice al Foglio senza giri di parole: “Date le complessità geopolitiche, l’Europa oggi ha più bisogno dell’accordo di noi”.
La Commissione teme proprio questo: se dovesse arrivare un rinvio europeo, i paesi del Mercosur darebbero priorità ad altri interlocutori: l’Argentina ha già in mano un’intesa-cornice con gli Stati Uniti su commercio e investimenti, e il Brasile è vicino a chiudere una partnership americana sui minerali critici. Inoltre, la Commissione non vuole mettere a rischio il cuore geopolitico dell’accordo: l’accesso alle materie prime critiche. La presenza cinese nel minerario brasiliano e argentino cresce, e c’è il timore che in 4 o 5 anni lo faccia ancora di più. L’intesa Ue-Mercosur contiene clausole che limitano diritti e tasse all’esportazione e impongono un trattamento non discriminatorio su monopoli e vendite soggette a controlli. Insomma, un paracadute giuridico.
I negoziatori europei pensano che “rinviare” possa essere recepito come “dare buca”. Infatti, il messaggio che è arrivato dalle capitali sudamericane è secco: gennaio non è un’alternativa apprezzata. Lula ha costruito il summit anche come atto politico, e ha invitato in presenza quei leader che non sono proprio i suoi migliori alleati, come il presidente argentino Javier Milei e il paraguaiano Santiago Peña. Se l’Europa si sfilasse all’ultimo, l’affronto lascerebbe una scia diplomatica, soprattutto con il Brasile. Bruxelles ha provato a disinnescare la rabbia agricola: in Parlamento sono passate regole di salvaguardia più rapide e più stringenti per i prodotti sensibili, con indagini che dovrebbero scattare con meno burocrazia. Il Mercosur le ingoia, ma non le ama. E chi produce carne, pollo e zucchero resterà sempre contrario a un (leggero) aumento della concorrenza.
Per l’Italia in ballo ci sono anche le indicazioni geografiche (Ig). Se l’Ue dovesse rinviare la firma e il Mercosur accelerasse su intese alternative con Washington, quel tipo di protezione sulle Ig potrebbe non essere più garantito. Gli Stati Uniti, quando trattano, tendono a chiedere di ridurre la tutela delle denominazioni. E i produttori italiani lo sanno bene.
Questo weekend sarà dunque un bivio. Meloni può fare asse con Macron e spostare tutto a gennaio, oppure può chiudere il passaggio in Consiglio già la prossima settimana. Firmare non risolverebbe i problemi dell’Europa, ma eviterebbe l’imbarazzo di spiegare che l’Ue, come critica Trump, non è riuscita di nuovo a decidere in tempo.