Foto Epa, via Ansa

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La conquista della Warner Bros. Il gioco grande su Hollywood

Stefano Cingolani

L’epopea degli Ellison inizia dalla Cia, passa per il cinema e ora approda dritta al cuore del potere americano

Gomorra è già caduta adesso tocca a Sodoma, gli angeli vendicatori sono un padre e un figlio pentiti per aver vissuto nelle città del peccato. La spada di fuoco arriva dalla Casa Bianca, ma è stata forgiata nelle fucine di Palantir. J. Edgar Hoover e Joseph McCarthy non avrebbero potuto sperare di meglio. Caduto il capitalismo liberal della Silicon Valley e l’edonismo hollywoodiano cosa resta del grande nemico globalista e multiculturale? Quello che si sta svolgendo in questi giorni è il nuovo atto di un dramma che talvolta assume i toni di una farsa, un conflitto culturale, non solo economico o politico, il cui obiettivo è un vero e proprio rivolgimento del potere americano. In fondo non poteva avere altri sbocchi una storia cominciata con la Cia. Per ragioni in parte evidenti in parte nascoste nei meandri della mente, i pupi sono Larry e David Ellison, il Mangiafuoco è Donald Trump, i pupari Peter Thiel e Alexander Karp, mentre la tromba del giudizio è affidata alle turgide labbra di Elon Musk. La conquista della Warner Bros, ultimo baluardo della storica Hollywood, da parte della Paramount già in mano agli Ellison è l’evento che può segnare la sorte della battaglia. Ma perché parliamo di Larry e David come di un solo attore con due diverse maschere e poi che cosa c’entra la Cia? Il Foglio è forse diventato Bandiera Rossa l’organo della sezione italiana della Quarta internazionale? Chi ha i capelli bianchi se li ricorda i trotskisti sempre pronti a svelare i complotti dell’imperialismo americano alleato di fatto dell’imperialismo sovietico. No, non è così, eppure un filo rosso (non come quello comunista, ma come le cravattone repubblicane di The Donald) esiste. Cominciamo dall’inizio. 

 

Lawrence Joseph “Larry” Ellison è il fondatore di Oracle. David è il figlio avuto con la terza delle sue sei mogli, che il padre ha prima abbandonato poi ha sostenuto, aiutato, finanziato, nonché introdotto alla passione del volo e all’amore per il rischio a mano a mano che diventava adulto e trasformava la passione per il cinema, trasmessagli dalla mamma e condivisa con la sorella Megan, in una professione proficua seppur finanziariamente pericolosa. Papà Larry, nato nel 1944 nel Bronx da una ragazza ebrea appena maggiorenne e un pilota italo-americano, ripudiato quando aveva appena nove mesi e cresciuto a Chicago dalla prozia e da suo marito Louis Ellison, lascia l’università dell’Illinois e si butta nell’elettronica, che allora era l’industria del futuro. Finché non incontra la Central intelligence agency, che stava facendo scouting per trovare giovani brillanti vogliosi di conquistare la nuova frontiera tecnologica. Così Larry s’inventa un database che chiama Oracle e lì comincia la sua ascesa, sfolgorante negli anni 80, in piena crisi nel 1990 quando rischia il fallimento, poi, vinta la battaglia contro la sua maggiore rivale Informix, assorbita dalla IBM, non si ferma più. Diventa grande sponsor e amico di Steve Jobs ed entra nel consiglio della Apple, un decennio dopo avrebbe fatto lo stesso con Elon Musk (Larry è ancora piccolo azionista della Tesla). Con l’acquisto di Sun Microsystem nel 2009 compie un salto nello scivoloso mondo dei microprocessori e tre anni dopo è il terzo uomo più ricco del mondo dopo Bill Gates e Warren Buffett. Pochi mesi fa è diventato numero uno, adesso è testa a testa con il suo ex pupillo Musk. Barche (ha uno dei più grandi yacht del mondo ed è un fondatore e protagonista dell’America’s cup), aerei (possiede e pilota diversi jet), tennis e football americano (come finanziatore e spettatore) e poi… donne donne eterni dei. Il primo matrimonio è con Adda Quinn, dal 1967 al 1974 (amori giovanili), il secondo dura tre anni, così come il terzo con la centralinista Barbara Boothe dalla quale ha Megan e David, e poi via via via fino all’amor senile un anno fa con Jolin Zhu, alunna dell’università del Michigan. Già finanziatore dei Democrats, s’è spostato anche lui verso Trump, ma di questo parleremo dopo. Adesso è il momento di David: il figlio di papà che non voleva fare il figlio di papà finché papà l’ha fatto diventare, fino in fondo, suo figlio. Tortuoso gioco di parole per un intricato scambio di affetti, di soldi e di potere.

 

Larry se ne è andato da casa quando Megan aveva tre mesi e David tre anni. E’ stata la madre a crescerlo, dopo il divorzio, in una fattoria di cavalli nella baia di San Francisco e ha instillato in lui e nella sorella il virus del cinema, ma è stato il padre a dargli la paghetta – e che paghetta. Durante le vacanze scolastiche fratello e sorella se ne andavano in giro per i sette mari a bordo del mega yacht paterno, il Ronin, ma il vero amore del piccolo David era per il volo, come quel nonno che non aveva mai conosciuto. Aveva tredici anni quando Larry gli propose di prendere insieme lezioni con un monoplano acrobatico, a bordo del quale si avventuravano sopra il Pacifico. Voleva insegnargli il senso di responsabilità, disse Larry a Matthew Symonds, uno dei suoi biografi. Più in generale, aggiunse, “prima i miei figli imparano ad avere a che fare con i più e i meno della fama e della ricchezza, meglio è”. Li aveva lasciati, ma non abbandonati, e li fece presto ricchi intestando loro ampie tranche di azioni della Oracle collocate in un fondo fiduciario. Si calcola che al massimo del successo, nel 2015, la fortuna dei due eredi sfiorava i 5 miliardi di dollari. Larry avrebbe voluto che David in futuro prendesse in mano la sua azienda e lo aveva fatto anche lavorare durante le ferie, ma l’universo tecnologico annoiava il giovane Ellison, attratto com’era dai film. Così si iscrisse a una scuola di cinema, che lasciò nel 2005 per il suo primo lungometraggio: “Flyboys” (in italiano “Giovani aquile”) su un gruppo di giovani piloti americani in Francia durante la prima guerra mondiale. Interprete principale James Franco, mentre David era il suo miglior amico impegnato in spettacolari duelli aerei. Il regista Tony Bill lo racconta come un ragazzo modesto, voglioso di imparare, non di gran talento come attore, ma pieno di passione autentica. Fu un flop, ma il giovane Ellison non si diede per vinto, anzi decise di metter su la sua casa di produzione e nel 2010 fondò Skydance – il nome di una tecnica di volo acrobatico – pur continuando a interpretare qua e là delle parti minori. 

 

Il vero decollo si deve a Steve Jobs il quale, scettico dopo aver visto alcune delle prime prove, diede a David un consiglio che si rivelerà prezioso: prendere esempio dalla Pixar, comprata dal fondatore di Apple. “Voglio che tu torni da me per mostrarmi che vuoi fare dei film meglio della Pixar”: una sfida impossibile per il giovane Ellison e i suoi collaboratori. Ma a quel punto entra in campo la Paramount, che faceva parte del conglomerato Viacom di Sumner Redstone. Papà Larry ci mette 150 milioni di dollari, la JP Morgan presta 200 milioni, e con 350 milioni Skydance propone di co-finanziare un film con i prestigiosi studios sopravvissuti all’èra del muto. Paramount era la prima per film prodotti (oltre tremila) tra le storiche Big 5, con Warner Bros, Metro-Goldwyn Mayer, 20th Century Fox e RKO. MGM è finita in Amazon, la Century Fox è della Disney dopo essere passata per Murdoch, la RKO non c’è più. La Warner nel 1989 era convolata a nozze con Time, acquistata dalla AT&T nel 2018, quattro anni dopo si era fusa con Discovery. Ora è arrivata Netflix che ha offerto 83 miliardi di dollari e ha scosso l’intero albero di Hollywood e gli Ellison si sono allarmati. Ma facciamo un passo indietro al 2011: David, entrato nella Paramount con i soldi di papà Larry, ne diventa sempre più il vero boss al posto di Shari Redstone, la figlia erede di Sumner. In quell’anno viene rilasciato “Mission impossible. Protocollo fantasma”, il quarto della serie, prima collaborazione tra Skydance e Paramount: incassa 700 milioni di dollari, ne seguiranno altri due, David capisce che la sua missione è possibile, ma non si accontenta, ricorda quel che gli aveva detto Jobs e nel 2019 assume John Lasseter, già capo creativo della Pixar – che nel frattempo era stata ingoiata anch’essa dal famelico mastodonte Disney. 

 

Skydance è stata un successo tale che la fusione con la Paramount nel 2024 è sembrata un’evoluzione inevitabile. Ma a quel punto non si è trattato più solo di fare dei buoni film, perché dentro la major hollywoodiana c’è la Cbs, uno dei tre principali canali televisivi in chiaro (gli altri sono Abc e Nbc), che si è caratterizzata come la più aggressiva e influente nel campo dell’informazione anche grazie al suo programma di punta 60 Minutes. E così la politica entra in campo a piedi giunti. Progressista, Cbs News è sempre stata una spina nel fianco del potere politico e non solo dei repubblicani, ma Ellison ha cominciato a spostarla più a destra, tanto che se ne è andato uno dei giornalisti di punta: John Dickerson, anchorman e corrispondente. Trump fin da subito ha messo la rete nel mirino e, per approvare la fusione tra Skydance e Paramount, ha imposto che venisse assunto il suo ex consulente Kenneth Weinstein come ombudsman (controllore dei contenuti o, se non vogliamo essere troppo diplomatici, censore). David Ellison si è piegato – e pensare che aveva dato un milione di dollari a Joe Biden. In più, ha comprato il sito “Free Press”, fondato dalla giornalista Bari Weiss, nota per la sua opposizione alle politiche di diversità, equità e inclusione e di tutte le politiche percepite dal mondo conservatore come woke e fermamente pro-Israele, come del resto Larry Ellison, che ha madre ebrea anche se non si può definire esattamente religioso. La Weiss è diventata direttrice editoriale di Cbs News, quindi da lei dipende la linea giornalistica. La conversione repubblicana in casa Ellison è cominciata nel 2012, quando papà Larry ha deciso di non sostenere Barack Obama. Si è schierato con Mitt Romney e ha perso, ma quattro anni dopo, alle primarie repubblicane, ha sostenuto Marco Rubio. Nel 2020 è passato direttamente con Trump, organizzando una cena a suon di assegni alla quale però non ha partecipato. Alle primarie del 2024 prima ha finanziato Tim Scott, poi è tornato da The Donald, che lo ha più volte definito un amico e ha pure pensato a lui come a uno dei possibili acquirenti di TikTok (con Rupert Murdoch e Michael Dell). Ora lo sostiene nella nuova battaglia mediatica contro Netflix. 

 

Larry, re dei data center diventato l’uomo più ricco d’America e forse del mondo intero (almeno di quello che fa conoscere i bilanci dei suoi magnati), il figlio David, nuovo signore nella capitale dei sogni. Sembra un film d’altri tempi, e magari forse lo gireranno davvero, una volta chiusa la partita che si gioca a suon di miliardi. La Paramount di Ellison ha rilanciato a 108 miliardi di dollari per ingoiare la Warner Bros. e con essa un altro canale televisivo inviso al presidente, cioè la Cnn. La sfida è anche industriale. Se Netflix prendesse la Warner si realizzerebbe la fusione tra vecchio e nuovo, tra cinema e tv tradizionali, nonostante tutte le innovazioni introdotte, e lo streaming, con un effetto moltiplicatore che s’annuncia notevole. E’ la fine di Hollywood dicono i critici, è il suo salto nel futuro. Che cosa propone invece la Paramount? Per rispondere bisogna far entrare più direttamente nel campo Larry e nel suo impero di dati, algoritmi e nuvole. Il cloud di Oracle diventerà fondamentale, tanto quanto l’uso dell’intelligenza artificiale. Non possiamo anticipare il futuro, anche perché la battaglia è in corso, e Warner è un boccone bello grosso, quasi il doppio di Paramount. I soldi per la controfferta vengono, oltre che dagli Ellison, anche dai fondi sovrani dell’Arabia saudita, del Qatar e di Abu Dhabi, ai quali si aggiunge Jared Kushner (quindi la famiglia Trump). A parte i capitali, che sono sempre fondamentali, la carta da giocare è politica. E tira in ballo l’antitrust. “Se vince Netflix non ci sarà più competizione a Hollywood” ha dichiarato Larry Ellison, e Trump non può permetterlo, quindi “il presidente sostiene Paramount perché è l’affare più competitivo”. Non si capisce in che senso visto che il pesce piccolo vuole ingoiarsi il pesce grande, gonfiando così la propria pancia. 

 

All’inizio del nostro racconto abbiamo tirato in ballo Palantir. Non è in campo direttamente, ma il nuovo grande gioco è stato definito chiaramente dai suoi fondatori, che sono gli esponenti più colti della nuova destra high tech. Karp l’ha chiamata la “repubblica tecnologica” che dovrà nascere dopo aver “smantellato il vecchio ordine”, come conclude il suo libro-manifesto. La scelta è, scrive ancora il tecno-filosofo, “un nuovo progetto Manhattan” con l’intelligenza artificiale al posto della bomba atomica. Con Palantir Peter Thiel lavora sempre più con e per il Pentagono, Elon Musk con la Nasa, Larry Ellison opera a tutto campo, il suo Stargate insieme a OpenAI e alla giapponese Softbank intende realizzare concretamente quel che Karp ha scritto: “Garantire la leadership americana nell’intelligenza artificiale; non solo sosterrà la reindustrializzazione degli Stati Uniti, ma fornirà anche una capacità strategica per proteggere la sicurezza nazionale dell’America e dei suoi alleati”, ha dichiarato Ellison. Insomma, il nuovo progetto Manhattan. Bisogna sempre guardarsi da grandguignoleschi proclami. I 500 miliardi di dollari promessi, per il momento sono solo cento e sulla carta, i nuovi signori dell’universo ragionano troppo con una mentalità da Gosplan sovietico, tutto è pianificato così bene, fin nei minimi particolari, che alla fine nulla funzionerà per davvero, perché l’umanità è un “legno storto”, non si può raddrizzare con la forza senza spezzarlo. Tuttavia le parole dette vanno prima prese sul serio, poi verificate. Per un tale progetto egemonico il soft power che influenza e determina la dimensione spirituale è importante tanto quanto l’hard power che colpisce la dimensione materiale. La “guerra degli studios”, oggi più che un tempo, non è solo una sfida tra colossi dell’intrattenimento, ma va direttamente al cuore del potere.

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