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antitrust e paper
Studi che orientano (troppo) la politica economica. Un caso americano
Negli ultimi anni, la politica di concorrenza negli Stati Uniti ha subito un cambiamento profondo perché una serie di ricerche aveva messo in guardia contro le conseguenze nocive della crescita delle quote di mercato delle grandi imprese. Oggi tutto potrebbe essere ridimensionato
Fino a che punto ha senso lasciare che singoli studi orientino scelte di policy? Negli ultimi anni, la politica di concorrenza negli Stati Uniti ha subito un cambiamento profondo perché una serie di ricerche – a partire da un importante lavoro degli economisti Jan De Loecker, Jan Eeckhout e Gabriel Unger sulla “crescita del potere di mercato e le sue implicazioni macroeconomiche” – aveva messo in guardia contro le conseguenze nocive della crescita delle quote di mercato delle grandi imprese, trasversalmente ai settori economici. Questa tesi aveva trovato un supporto bipartisan, che andava da Lina Khan, l’economista nominata dal Presidente Biden a capo della Federal Trade Commission fino a J.D. Vance, che non a caso ne era un estimatore e ne condivideva la condanna del presunto lassismo dell’Antitrust Usa. Ora quei risultati sono sotto accusa e le nuove evidenze sembrano restituire vigore alle tesi “alla Chicago”, secondo cui fusioni e acquisizioni dovrebbero essere impedite solo se costituiscono una minaccia effettiva al benessere dei consumatori.
Andiamo con ordine. Lo studio di De Loecker e altri, comparso nelle prime versioni attorno al 2017 e pubblicato nel 2020 sul prestigioso Quarterly Journal of Economics, studiava il margine (mark-up) sulle vendite delle imprese americane tra il 1955 e il 2016. Il principale risultato era che “i mark-up aggregati salgono dal 21 per cento al di sopra dei costi marginali [nel 1980] al 61 per cento di oggi”, corrispondente a un aumento degli utili medi “dall’1 per cento all’8 per cento”. Una drastica crescita interamente spiegata dal boom delle imprese più profittevoli. Un risultato sorprendente e sconvolgente, che poneva il presupposto per ribaltare la “dottrina di Chicago”. Negli anni successivi molti si erano esercitati nell’attaccare aspetti specifici del paper; per esempio, alcuni avevano ridimensionato la stima sul mark-up o avevano evidenziato che la principale causa non era la minore concorrenza, quanto la riduzione dei costi marginali resa possibile dal progresso tecnologico. Nulla di tutto questo aveva fatto tremare, nella sostanza, le fondamenta del filone di ricerca inaugurato da De Loecker & Co.
Pochi giorni fa, però, è arrivato un duro atto d’accusa da un altro gruppo di economisti (C. Lanier Benkard, Nathan Miller e Ali Yurukoglu), che ha provato a replicarne i risultati, individuandone limiti apparentemente insuperabili. Questo ha dato vita a un interessante scambio ospitato dal National Bureau of Economic Research. Benkard e coautori hanno scoperto che “i loro risultati dipendono da alcune restrizioni non dichiarate del campione, le quali eliminano il 27 per cento delle osservazioni disponibili. Applicando la metodologia così come descritta nell’articolo all’intero campione, gli aumenti dei mark-up risultano più attenuati” e “sono quasi interamente determinati dalle imprese dei settori Finanza e Assicurazioni. Se queste imprese vengono escluse, gli aumenti sono modesti”. Ergo, “la metodologia e i dati non supportano la conclusione secondo cui negli ultimi decenni si siano verificati aumenti generalizzati del potere di mercato”. Gli autori dell’articolo originale hanno replicato che la differenza dipende di fatto da un unico settore economico (la produzione di farmaci e medicinali). Ma Benkard & Co insistono che, anche tenendo conto di tale scelta, i conti non tornano: il markup, semplicemente, non è cresciuto in misura così preoccupante come si riteneva.
Probabilmente, questo darà il via a ampia rilettura critica del filone di letteratura inaugurato da De Loecker e coautori, che finirà per ridimensionarne, se non proprio azzerarne, la rilevanza. Potremmo concludere che non è vero che l’Antitrust americano va riscritto dalla A alla Z: nel complesso, armato delle teorie di Chicago non aveva fatto un cattivo lavoro. Serve cautela nell’utilizzare studi dirompenti come base per scelte di policy: quando i risultati contraddicono tutto ciò che credevamo di sapere, spesso significa semplicemente che sono esagerati. La concorrenza negli Usa forse non sta bene come credevamo, ma non sta neppure male come temevano.
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