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Gustare e a vivere l'opera

L'Italia scalerà le classifiche sul turismo se smetterà di vergognarsi del lusso

Stefano Cingolani

Un tempo entrare in una boutique di Armani o Loro Piana provocava emozione, scattava la sorpresa, la magia dell’inatteso. È la chiave del successo anche negli alberghi, nei ristoranti, nei viaggi, in tutto quel vasto mondo che chiamiamo intrattenimento. Colloquio con Ermanno Zanini

Perché l’Italia non è al primo posto nella classifica del turismo in Europa, invece della Francia? Che cosa manca, quali sono i limiti del modello nazionale? Gli stessi che hanno fatto perdere la leadership nella moda? La nostra conversazione con Ermanno Zanini comincia all’attacco, ma siamo costretti a fare un passo indietro. Nel turismo abbiamo buone carte, dice il manager, anche se molti sono i limiti da superare; negli alberghi non stiamo affatto male, in fondo sui i primi 50 al mondo ce ne sono 14 o 15 italiani, non filiali di grandi catene, ma indipendenti, si pensi a Villa d’Este o al San Pietro di Positano. Non dobbiamo abbandonare il nostro tocco, il nostro approccio all’accoglienza, caldo, familiare, attento al cliente per quel che è e non solo per quel che vuole, con disciplina, ma senza rigidità. “Nella moda invece abbiamo perso una grande e clamorosa occasione”, dice Zanini al Foglio.

 

Nato a Napoli nel 1969 da padre friulano e madre partenopea, è salito davvero al vertice dell’industria alberghiera e da qui può dare uno sguardo ampio e non solo retrospettivo. Ha cominciato come cameriere al Four Season, da New York a Roma e a Milano, un gradino dopo l’altro: la ristorazione, l’accoglienza, l’amministrazione. Poi il salto a Capri anzi in cima alla perla del Golfo, nella Anacapri di Axel Munthe e Graham Green, da dove si guarda Napoli e s’abbraccia nello stesso tempo Ischia e Sorrento. Ha gestito il Capri Palace quando era ancora un’impresa famigliare e l’albergo si chiamava Europa, era stato acquistato nel 1960 da Mario Cacace e trasformato dal figlio Tonino in un hotel de charme aperto non solo al lusso, ma all’arte: Arnaldo Pomodoro, Salvatore Garau, Mimmo Paladino, Keith Haring, Giorgio de Chirico. Sotto la mano di Zanini proprio l’arte è diventata un segno distintivo, insieme all’alta cucina. Due passioni, in fondo, del general manager che ha seguito anche il passaggio nel 2019 al gruppo emiratino Jumeirah (vuol dire bellissimo, si chiama così la zona residenziale lungo la costa di Dubai), cambiando nome in Capri Palace. Zanini è alla guida dell’hotel, ma non solo: viene nominato vice presidente per il sud Europa e nel 2021 diventa general manager del Burj Al Arab, la Torre degli arabi, il palazzo a forma di vela, icona di Dubai. Con tutta una carriera nella hôtellerie mondiale, apprezza le economie di scala e l’efficienza che la grande taglia favorisce, ma teme la standardizzazione, ha paura che tutto diventi freddo, senz’anima, senza sorprese, senza quella capacità d’improvvisare e di innovare che fa parte della cultura italiana ed è un suo potenziale vantaggio. Se solo… E così entriamo nel mondo dei se.

 

Che salto farebbero se, mantenendo la loro identità e indipendenza, le imprese alberghiere e del turismo in genere, potessero contare su una cornice, una solida struttura, una rete, non interventi dello stato, ma uno stato che crei l’ambiente idoneo alle imprese. Un tempo c’era la Ciga la Compagnia italiana grandi alberghi nata a Venezia nel 1906, finanziata da Giuseppe Toeplitz il gran capo della Banca Commerciale, fondata tra gli altri da Giuseppe Volpi e Vittorio Cini. Novant’anni dopo è finita al gruppo Sheraton. Non è un’altra occasione perduta? Di tanto in tanto viene evocata una nuova Ciga, ma forse quel tempo non si può ritrovare. E’ vero, il modello francese ha come punti di forza proprio il complesso sistema di accoglienza (alloggi, viaggi, intrattenimento), tuttavia Zanini crede nella specificità italiana se ben gestita. Certo, la famiglia non basta, occorrono i manager e non solo perché non c’è nessuna garanzia che il figlio sia bravo come o più del padre, ma perché ci vuole un approccio scientifico e un respiro internazionale. Ma è possibile combinare i diversi livelli mantenendo “il cimento dell’armonia e dell’invenzione”. Zanini più che a Vivaldi pensa al jazz, la sua idea di ospitalità guarda alla jam session che lascia spazio all’assolo e agli improvvisi. Ciò vale per l’espressione artistica che non è esporre un quadro o una istallazione, ma guidare l’ospite a gustare e a vivere l’opera. Più parliamo più il parallelo con la moda prende corpo.

 

C’è l’innovazione (pensiamo a Versace che spezza i mezzi toni di Armani o le super lane di Loro Piana), ma c’è l’uomo solo al comando, lo stilista assoluto che diventa uno stilita in cima alla sua colonna, e c’è l’abisso della successione. Loro Piana comprata anch’essa da LVMH è un vero cruccio per Zanini. Ora toccherà ad Armani. Un tempo entrare in una di quelle boutique provocava emozione, scattava la sorpresa, la magia dell’inatteso. E’ la chiave del successo anche negli alberghi, nei ristoranti, nei viaggi, in tutto quel vasto mondo che chiamiamo intrattenimento. “Fare esperienza” è un’espressione che irrita Zanini. Bisogna concentrarsi sul prodotto, con tutti i dettagli al loro posto, con un gusto artigiano che non si perde anzi si esalta nella dimensione globale. Cose belle che piacciono al mondo, anche all’ombra dei campanili.

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