Ansa

Le voci corrono veloci

Enigma Elkann. Tutto e il contrario di tutto sul futuro di Gedi

Stefano Cingolani

Il rumor secondo il quale la trattativa con il gruppo Kyriakou sia fallita ha fatto sì che altri abbiano bussato alla porta di John Elkann, tra questi Leonardo Del Vecchio Junior. A tutti è stato detto no grazie, per ora

Le voci corrono veloci, troppo veloci. Da oltre un anno la vendita di quel che resta del gruppo Gedi è una spada di Damocle sempre più pesante sulla testa dei dipendenti. Negli ultimi giorni sono emerse nuove indiscrezioni. E’ fallita la trattativa con il gruppo Kyriakou, perché Exor chiede più dei 140 milioni che l’armatore ed editore greco è disposto a pagare. No, è ancora aperta, anzi, si chiuderà entro fine anno. Vuole solo le radio, non il giornale. No, si prende pure la Stampa. Il rumor secondo il quale tutto viene rimesso in discussione ha fatto sì che altri abbiano bussato alla porta di John Elkann, tra questi Leonardo Del Vecchio Junior, pieno di soldi che impiega un po’ qua un po’ là. A tutti è stato detto no grazie, per ora. Sarebbe aperto anche il fronte della Stampa, perché è in stallo la trattativa con la cordata veneta, guidata da Enrico Marchi e composta da rilevanti industriali, che ha già acquistato le testate locali della Gedi.

 

Le redazioni hanno chiesto chiarimenti. I vertici del gruppo nei giorni scorsi hanno cercato di rassicurare. Tutto sta andando avanti, dove più rapidamente dove meno. San Silvestro non è la data conclusiva. L’azionista Exor ha detto di non voler liquidare, al contrario intende vendere a chi propone una strategia di sviluppo. Sia Kyriakou sia Marchi vengono considerati interlocutori seri. In particolare, è stato garantito che la cessione eviterà due rischi: una eccessiva concentrazione e una riduzione del pluralismo. Rischi evidentemente politici. In più, nel caso del ramo Repubblica c’è l’aura internazionale che tanto piace a Elkann. La famiglia Kyriakou non solo ha un ruolo importante nel club degli armatori che in Grecia rappresenta ancora l’oligarchia capitalistica, ma ha forti ancoraggi internazionali in Asia (Singapore è il suo porto strategico), in Brasile e negli stessi Stati Uniti. Theodore, che guida il ramo editoriale, ha vasti legami nei regimi arabi e in Arabia Saudita con l’uomo forte, il principe Mohammed bin Salman. Non guasta all’immagine, oggi come oggi, che si sia fatto vedere in più occasioni con Donald Trump.

 

Sul perché Elkann voglia smobilitare il suo gruppo editoriale in Italia dopo aver a lungo annunciato che l’informazione sarebbe stata uno dei pilastri del gruppo Exor insieme alla manifattura (l’auto soprattutto), al lusso (con Ferrari più la moda) e alle nuove tecnologie, c’è da ragionare a lungo. Ora resta solo il 43 per cento dell’Economist. Con Gedi siamo alla seconda sconfitta in terra italica, dopo la Rizzoli Corriere della Sera acquistata con un’Opa nel 2016 da Urbano Cairo, un editore che non fa altri mestieri e s’intende di bilanci. Anche allora c’era un problema di debiti, ben più grave che nel caso Gedi, e c’era un cambiamento del modello industriale con i social media che stavano facendo terra bruciata non solo della carta stampata, ma dell’informazione: falò all’insegna della vanità e spesso del vaniloquio. Oggi le cose sono in parte diverse grazie all’intelligenza artificiale. Sul Financial Times l’economista Daron Acemoglu, premio Nobel nel 2024, in un ampio articolo dedicato al futuro della democrazia e della classe operaia, parla di “pro-worker AI”, perché l’intelligenza artificiale non porta solo più produttività, ma aiuta i lavoratori ed espande la loro stessa professionalità. Qualcosa del genere può accadere anche ai giornalisti o agli operatori dell’informazione. Il narcisismo dei social ha trasformato in notizie quelle che sono opinioni individuali, anzi pulsioni, idiosincrasie, convinzioni, pregiudizi. Io sono io, quel che dico vale in sé e per sé, la verifica è non solo inutile e noiosa, ma distruttiva.

 

L’AI al contrario ha bisogno di informazioni garantite, ragionevolmente attendibili, altrimenti non serve. E più sofisticata diventa, più ne avrà bisogno. Nella scienza, nella medicina, nell’industria, nei servizi, dovunque dovrà acquisire una gran quantità di fatti non di chiacchiere. Nel mondo dell’informazione la materia prima è scavata e fornita dai giornalisti, i minatori dell’èra AI. Il nuovo interesse per quegli strumenti che sembravano morti (giornali, radio, tv) nasce anche da questa convinzione. Quando Jeff Bezos si prese il Washington Post, i più pensarono che l’avrebbe chiuso. E’ successo il contrario. Ovunque (il britannico Daily Telegraph comprato dal fondo americano RedBird di Gerry Cardinale o la battaglia in corso per la Warner Bros), anche in Italia. Allora si ripropone la domanda: perché disfarsi di una storica testata come la Stampa o del quotidiano che ha rinnovato il giornalismo italiano?

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