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L'analisi

Tassare le auto elettriche? Il caso inglese e il problema italiano

Carlo Stagnaro

La decisione di Londra di tassare i chilometri percorsi anticipa il dilemma che presto toccherà anche all’Italia: come compensare il crollo del gettito delle accise senza frenare la transizione verde

La Gran Bretagna potrebbe essere il primo paese a tassare le auto elettriche, finora beneficiarie di generosi sussidi perché considerate uno dei pilastri della transizione energetica.

Secondo quanto annunciato dalla cancelliera dello scacchiere, la laburista Rachel Reeves, a partire dal 2028 i possessori di auto elettriche dovranno inserire su una piattaforma il chilometraggio percorso nell’arco dell’anno, e versare all’erario un obolo di 3 pence per miglio se hanno un’elettrica pura, 1,5 se invece guidano una ibrida plug-in. Successivamente, la lettura verrà automatizzata, collegandola alle revisioni obbligatorie degli autoveicoli. Al di là di aspetti tecnici e problemi attuativi, la questione è di estrema attualità per tutti i paesi avanzati.

Il governo deve trovare un difficile equilibrio tra l’obiettivo della neutralità carbonica e la tenuta del sistema tributario. La spinta verso l’elettrificazione dei trasporti risponde alla volontà di decarbonizzare l’economia: a tal fine, praticamente ovunque sono previsti sia incentivi espliciti all’acquisto di auto elettriche sia incentivi impliciti. Tra questi, il vantaggio di prezzo che deriva dallo squilibrio tra la pesante tassazione sui combustibili fossili (nel Regno Unito, sul litro di benzina o gasolio gravano 52,95 pence, corrispondenti a circa 6 per miglio percorso) e la mano leggera del fisco sulle ricariche elettriche.

Man mano che le persone sostituiscono l’auto tradizionale con una a basse emissioni, però, il gettito delle accise scende: secondo le proiezioni di Downing Street, i 25 miliardi di sterline attuali (corrispondenti a circa il 3 per cento del gettito complessivo) scenderanno a 12 miliardi attorno alla metà del prossimo decennio, per poi quasi azzerarsi verso il 2050. Senza quei soldi, è necessario tagliare la spesa pubblica, cosa che il premier Keir Starmer non è disposto a fare, o almeno non così tanto. Le altre opzioni considerate per compensare il mancato gettito – intervenire su altre imposte, per esempio l’equivalente inglese dell’Irpef, oppure introdurre una sorta di maxibollo, come in Texas – sono state considerate politicamente impraticabili.

Si arriva così all’accisa sulle ricariche elettriche (o, meglio, sulle miglia percorse): la quale, peraltro, non potrà che crescere ulteriormente, visto che ai livelli attualmente ipotizzati sarà in grado di rimpiazzare solo circa un quarto del gettito perduto. Il paradosso è che, in tal modo, si eroderà sempre più il vantaggio economico dei veicoli elettrici – già oggi non sempre garantito – con il rischio di pregiudicare la transizione e gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione.

Come ha scritto Javier Blas su Bloomberg, la Gran Bretagna ha in tal modo rotto un tabù, ma lo stesso problema dovranno porselo presto o tardi anche tutti gli altri, Italia compresa. E la sfida sarà tanto più complessa quanto più aggressive saranno le politiche per arrivare a net zero. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a dire il vero, la questione ce l’ha ben presente, tant’è che oltre un anno fa si interrogava su come compensare “l’effetto che avrà l’elettrificazione sullo spostamento delle accise del carburante alle nuove forme di alimentazione”. Le accise su benzina e gasolio – quest’ultima, dopo il più recente incremento, la più alta d’Europa – fruttano all’erario circa 25 miliardi di euro. In termini reali, secondo i dati Unem, già oggi siamo 13 miliardi di euro (espressi in moneta del 2023) al di sotto al picco del 1999.

Negli ultimi anni il gettito sembrerebbe essersi stabilizzato; anzi, nel 2026 è atteso un “tesoretto” di circa 550 milioni. Ma è solo l’effetto del riallineamento tra benzina e diesel, voluto dal governo per rimuovere uno dei più significativi sussidi ambientalmente dannosi censiti dal catalogo del ministero dell’Ambiente (il differente trattamento fiscale tra i due carburanti, appunto), come previsto dal Pnrr.

In realtà, il trend di lungo termine punta chiaramente nella direzione opposta, per cause convergenti: il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione; la maggiore efficienza delle auto più nuove e avanzate; infine, la crescente penetrazione dei veicoli elettrici. Il Piano nazionale energia e clima (Pniec) fissa un obiettivo di 6,6 milioni di vetture elettrificate in circolazione nel 2030 (di cui 4,3 elettriche pure), su un totale di circa 41 milioni. Se questi target dovessero essere raggiunti – il che è tutt’altro che ovvio, visto che al momento sono meno di 350 mila le auto elettriche pure in circolazione – la perdita di gettito sarebbe consistente, stimabile nell’ordine di 4-5 miliardi di euro.

Insomma, per contrastare il prosciugamento del gettito, i governi potrebbero trovarsi costretti a tassare con la destra ciò che hanno sussidiato con la sinistra.

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