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Il Colloquio

Inchieste, mercato, politica e futuro del risiko bancario. Parlano Visco e Tria

Mariarosaria Marchesano

I reati inafferrabili, i perimetri da non superare, le banche del futuro, Mediobanca e molto altro. Parlano i due ex ministri dell'Economia

Le opposizioni si sono lanciate all’attacco del governo Meloni dopo che la procura di Milano, nell’ambito dell’indagine sulla scalata di Mps a Mediobanca, ha ipotizzato i reati di ostacolo alla vigilanza e manipolazione di mercato per il ceo della banca senese, Luigi Lovaglio, e gli imprenditori-azionisti, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri. Per Elly Schlein c’è stato “un ruolo opaco” del Mef, anche se poi è trapelato che non ci sono ipotesi di reato a carico del ministero guidato da Giancarlo Giorgetti.

 

Colloquio con Giovanni Tria

Giovanni Tria, che è stato ministro dell’Economia nel governo Conte uno, osserva tutto ciò con scetticismo. “La mia impressione è che in questa vicenda il Mef abbia agito correttamente sotto tutti i punti di vista e anche le accuse contro gli altri indagati sono tutte da provare”, afferma. “Quando si parla di inchieste giudiziarie volte ad accertare turbative di mercato bisogna sempre stare attenti a che non siano le stesse, o la loro ridondanza mediatica, a generare turbamenti (in tre sedute di borsa il titolo Mps ha bruciato 3,3 miliardi di euro, salvo recuperare in parte ieri, ndr). Premesso ciò, non capisco davvero tutto questo stupore per l’intervento del governo su questioni bancarie”. Viene contestato un certo dirigismo e una strategia volta a ridefinire gli assetti finanziari del paese. “I governi sono sempre intervenuti e io stesso mi sono mosso quando ero a Palazzo Chigi: in quegli anni il sistema bancario stava vivendo un momento di debolezza e si cercava di trovare delle soluzioni per evitare che si verificassero dei fallimenti. Erano, ad esempio, i tempi del caso Carige. E vogliamo per caso dire che, in precedenza, con le banche venete, non c’è stato intervento pubblico? Insomma, è una cosa abbastanza normale”. In quei casi, però si trattava di favorire iniziative di salvataggio, in mancanza ci sarebbero state gravi conseguenze per migliaia di cittadini. “Anche quello di Mps è stato un salvataggio pubblico”, ribatte Tria. "Sofferto ma ben riuscito, alla fine. Già quando ero io al governo si pose il problema di cercare un partner privato per Mps. Ci sono state interlocuzioni con Unicredit che non andarono a buon fine perché le condizioni dell’offerta non furono ritenute accettabili”.

Dopo i vari tentativi andati a vuoto del Mef con i vertici di Unicredit (prima con l’ex ad Jean Pierre Mustier e successivamente con Andrea Orcel) fu deciso di risanare prima la banca senese e solo successivamente venderla sul mercato. Per Tria è stata la scelta più corretta e giusta, che ha avuto l’effetto di ripagare in parte lo stato dello sforzo fatto salvataggio. Poi, però, l’operazione con Mediobanca è finita nel mirino della magistratura che ipotizza un’azione di concerto. “Non saprei proprio dire se in tutta questa vicenda ci sia stato o meno un concerto. Ignoro completamente questo aspetto. Ma non si può non riconoscere che il percorso di Montepaschi è stato virtuoso e che il governo ha avviato la privatizzazione come richiesto dall’Europa. Se poi si è verificata qualche irregolarità lo vedremo. A me pare, però, che in campo ci siano tutti interessi legittimi: quello dello stato volto a uscire dal capitale della banca dopo che è stata risanata e quella di imprenditori privati che hanno investito dei capitali avendo in mente una strategia”.

La conquista di Generali? “Anche se fosse? Chi investe, in genere ha in mente un obiettivo”. Criticare la strategia del governo nell’operazione Mps-Mediobanca è, dunque, secondo Tria, un errore e anche la procedura di Abb (Accelerated Bookbuilding) utilizzata per collocare le tranche di capitale di Mps sul mercato, operazione attraverso cui sono entrati nel capitale di Siena Caltagirone, Milleri e Banco Bpm, appare “lineare” all’ex ministro, quantomeno nell’approccio, precisa, non avendo elementi per valutare come è stata eseguita. Tutt’altra è l’opinione di Tria sul golden power utilizzato sempre da Palazzo Chigi per fermare il tentativo di acquisizione di Banco Bpm da parte di Unicredit (è di ieri la notizia che il gruppo guidato da Orcel ha raggiunto il 29,5 per cento della greca Alpha Bank). “Su questa vicenda c’è una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea e non sono in grado di entrare nel merito. Posso dire in generale che a me il golden power non piace affatto. Argomentare con la tutela dell’interesse nazionale una mancata fusione bancaria oppure operazioni in campo industriale, mette a rischio la reputazione dell’Italia, oltre a generare la ferma opposizione dell’Europa. Impedire a dei gruppi di fare investimenti nel nostro paese, come a volte accade, è un’idea da correggere secondo me”.

 

Colloquio con Vincenzo Visco

Vincenzo Visco, economista, è stato ministro delle Finanze in quasi tutti i governi di centro sinistra a partire dai primi anni Novanta e fino al 2008. “Le banche le ho osservate da vicino durante le privatizzazioni – dice al Foglio – che abbiamo favorito nella convinzione che lo stato dovesse uscire da un sistema che aveva alimentato una lottizzazione forsennata, abusi e clientelismo nel credito. In quegli anni ci siamo impegnati a scrivere anche le regole che avrebbero garantito il buon funzionamento del mercato con l’aiuto di un gruppo di esperti di altissimo profilo. Vedendo quello che accade oggi, sentendo parlare di sovranismo bancario, mi sembra che stiamo facendo dei passi indietro”.

Professore, il governo Meloni ha dichiarato che vuole uscire da Mps, non restarci, e, comunque, per la procura di Milano non ha commesso alcun reato nell’ambito della scalata della banca senese a Mediobanca che ha avallato con l’idea che nel paese si potesse costituire un nuovo polo bancario. Cosa c’è di male in questo? “Da osservatore esterno, questa operazione mi è sempre sembrata altamente problematica, a prescindere da quello che sarà l’esito dell’indagine che, ovviamente, farà il suo corso”. Perché? “Fusioni e acquisizioni devono essere libere e avvenire secondo le leggi del mercato. Qua, invece, mi sembra che siamo tornati agli anni Sessanta, peccato, però, che questo protezionismo pubblico sia così controproducente in un mercato globale. Nel capitale degli istituti di credito ci sono azionisti di livello internazionale che vanno tutelati altrimenti si rivolgono altrove. Ma poi, se si voleva dare origine a un nuovo polo bancario, perché non avviare un dibattito pubblico coinvolgendo magari le opposizioni? Così sarebbe stato tutto più trasparente”.

Le regole di mercato che sono state scritte dai governi a cui lei ha partecipato non hanno impedito a Montepaschi di finire in una profonda crisi. Alcuni pensano che la responsabilità sia proprio dei governi di sinistra. “Il fallimento della vecchia Mps è di stretta responsabilità dei senesi”. In che senso, scusi? “Ne sono diretto testimone: volevano ad ogni costo che il comune restasse nel capitale della banca e averne il controllo, non c’era verso di convincerli del contrario. Era il retaggio della presenza dello stato, per Siena Mps era ‘Il babbo’, finanziava tutto. Ricordo che lo scontro fu durissimo per avviare il processo di apertura ai privati, litigai persino con Franco Bassanini che all’epoca era senatore della città di Siena e quindi si faceva interprete della visione locale”.

Poi è stata proprio un’operazione di “mercato”, come Antonveneta, ad affossare il Monte, o no? “Sì, ma fu sempre condizionata dall'obiettivo di non perdere il controllo, il che determinò il ricorso ai vari derivati che causò la crisi della banca”. E lo stato l’ha salvata con soldi pubblici. Poi Montepaschi è stata anche risanata ed è nata l’idea dell’aggregazione con Mediobanca. Dove sta l’intoppo? “Si è capito subito che c’erano molte interferenze, la spinta leghista al terzo polo bancario e l’ambizione di alcuni imprenditori ad arrivare, attraverso Mediobanca, al controllo di Generali. E su questo devo dire che anche Nagel ha commesso un errore perché se avesse proposto due anni prima l’operazione con Banca Generali sarebbe andata in porto perché aveva una forte logica industriale e sarebbe riuscito a prevenire quello che è successo”.

Ora, la Procura di Milano ipotizza un’azione di concerto tra gli scalatori. “Rappresenta un tipo di reato sempre complesso da dimostrare, per me comunque la Consob doveva intervenire e forse anche la Banca d’Italia avrebbe potuto chiedere dei chiarimenti”. Cosa non la convince? “Qualcuno mi dovrebbe spiegare che cosa c’è da cambiare in Generali, che è un gruppo palesemente ben gestito”. Forse, più che qualcosa da cambiare, c'è una strategia per farla crescere di più, visto il modo in cui sono cresciute in questi anni altre assicurazioni europee. “Vede, ai tempi dell’Iri, almeno in una prima fase, si cercava di tutelare l’autonomia dei manager da azionisti voraci. Così si è creata una classe di grandi dirigenti d’azienda. Oggi invece vengono rinnovati ogni tre anni, parlo naturalmente delle partecipate pubbliche. Ma secondo me neanche questo va bene. Bisognerebbe individuare meccanismi in grado di ridurre il potere della politica di influenzare la gestione aziendale”. Oggi, però, non solo in Italia i governi stanno diventando protettivi con banche e settori strategici dell’economia. “Lo vedo, ma credo che se l’Europa non si decide ad attuare le agende di Draghi e Letta è destinata non dico al declino, perché già sta declinando, ma a sparire o a tornare a tenori di vita post bellici”.

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