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Il caso irrisolto
Il mistero della proposta sull'oro di Bankitalia
La Bce, come era prevedibile, boccia l'emendamento sulle riserve auree e lascia la destra intrappolata nella sua vecchia ossessione sovranista. Perché FdI sta portando avanti la questione se poi la soluzione è illegale, oppure inutile?
La domanda fondamentale sull’emendamento sull’oro della Banca d’Italia è: perché? Se lo chiede apertamente la Banca centrale europea: “Non è chiaro alla Bce quale sia la concreta finalità della proposta”, scrive la presidente Christine Lagarde al ministero dell’Economia, invitando “in assenza di spiegazioni” le autorità italiane “a riconsiderare la proposta di disposizione”.
La bocciatura che arriva da Francoforte è sul famoso emendamento Malan sulla proprietà dell’oro della Banca d’Italia presentato dal capogruppo al Senato di FdI. E’ un’antica fissazione della destra italiana, un retaggio delle battaglie sovraniste dell’ultimo decennio, cavalcate soprattutto dalla Lega ma anche dal M5s e dal partito di Giorgia Meloni: affermare che le riserve auree italiane sono dello stato (e non della Banca d’Italia). “Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo stato, in nome del popolo italiano”, recitava la formulazione originaria dell’emendamento. Il problema è che una norma del genere è in contrasto con i trattati europei, come aveva chiaramente ribadito nel 2019 l’allora presidente della Bce Mario Draghi in un parere su una proposta di legge analoga presentata dal leghista Claudio Borghi.
Ma all’epoca, quando la Lega aveva in programma l’uscita dall’euro, era una proposta che aveva un senso politico. Ora il contesto è molto diverso. Giorgia Meloni ha costruito un pezzo della sua credibilità internazionale sul buon rapporto con L’Europa e con Ursula von der Leyen, Giancarlo Giorgetti ha fondato la credibilità economica del paese sul rispetto delle regole fiscali europee uscendo dalla procedura d’infrazione con un anno d’anticipo. Persino i più incendiari si sono allineati allo spirito di Maastricht: “Abbiamo capito come funziona e stiamo interpretando il nostro ruolo”, ha detto di recente il responsabile Economia della Lega ed ex leader dei No euro Alberto Bagnai.
Perché, allora, questa battaglia sull’oro? “Sei un giornalista: scoprilo. Perché io non l’ho capito”, dice al Foglio un importante dirigente di FdI.
Che l’emendamento Malan avrebbe portato allo scontro con le istituzioni e i trattati europei era cosa scontata a chiunque conoscesse la materia. E non sono mancati gli avvisi, pubblici e privati, al governo: una norma che punta a toccare le riserve auree, a insinuare la non piena disponibilità nella detenzione e gestione da parte della Banca d’Italia, avrebbe provocato frizioni non solo con Francoforte ma anche con il Quirinale. Con la Bce perché, ai sensi dell’art. 127 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue), deve essere consultata dagli stati sui progetti di legge che riguardano le sue competenze esclusive (come appunto la politica monetaria, in cui rientra la gestione delle riserve). E con il Quirinale perché, alla fine, ha il dovere di monitorare la conformità delle nuove leggi alla Costituzione e quindi ai Trattati europei.
Tanti pensavano, confidando sul buon senso, che l’emendamento venisse ritirato o fermato. Invece è andato avanti. Prima è stato inserito tra i “segnalati” e poi dichiarato ammissibile. Nessuno ha cercato o è riuscito a salvare la maggioranza da se stessa. Neanche quando il Mef ha formulato un parere contrario perché l’emendamento rappresentava una sorta di esproprio, quindi in violazione sia dei trattati europei sull’indipendenza della banca centrale (art. 130 Tfue) e divieto di finanziamento monetario agli stati (art. 123), sia della Costituzione italiana (art. 42, che prevede l’obbligo di indennizzo in caso di esproprio). Era quella l’occasione per ritirare l’emendamento.
Ma FdI, con Malan, ha deciso di riformularlo in una versione “interpretativa” della legge esistente per affermare l’appartenenza dell’oro al “popolo italiano” , che però non ha superato le ambiguità. Il parere della Bce, richiesto dal Mef, dice che l’emendamento “non è chiaro” e suggerisce di “riconsiderare” la proposta, ovvero di modificarla inserendo un “esplicito riferimento” ai limiti imposti dai trattati europei. Ma una norma del genere, che sancirebbe la gestione “esclusiva” delle riserve auree e la loro iscrizione nello stato patrimoniale della Banca d’Italia, sgombererebbe sì il campo dagli equivoci, però nel senso opposto a quello desiderato dalla destra.
A questo punto, però, è sempre più difficile uscire dalla situazione in cui FdI e il governo si sono impantanati. Il ritiro dell’emendamento da parte di Malan significherebbe una sconfitta politica. La riformulazione nel senso indicato dalla Bce, invece, sancirebbe una resa. Ma andare avanti sarebbe addirittura peggio. Il Mef, che aveva espresso parere negativo all’emendamento originario, non può certo ignorare il parere negativo della Bce dopo averla interpellata. Anche perché un’eventuale forzatura non porterebbe nulla di buono, perché alla fine spetterebbe al Quirinale esprimere una valutazione di costituzionalità su una norma già bocciata da Francoforte.
Nel frattempo, per uscire dal vicolo cieco, il Mef sta preparando una riformulazione dell’emendamento compatibile con il quadro normativo europeo: “Stiamo lavorando in sintonia con Bankitalia per una soluzione” dice una fonte al Foglio. “Il governo può proporre una riformulazione – commenta Malan – io immagino che la accetterò”. Il senatore di FdI precisa che l’emendamento non vuole entrare in conflitto con i trattati Ue, ma ribadisce solo l’“ovvio”: “Tutt’al più ci aspettavamo si dicesse che è inutile”. E’ così: la proposta è illegale o, al limite, inutile. Proprio per questa ragione resta irrisolto il mistero politico: perché?