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Le soglie americane, il voto svizzero, e il caso italiano
Se basta poco per essere considerati ricchi allora non si sa più come creare ricchezza
Negli Stati Uniti diventa virale il post del finanziere che afferma che si è poveri con 140 mila dollari l’anno, mentre la Svizzera all'unisono dice no alla super tassa sui patrimoni oltre i 50 milioni. In un’Italia stagnante, invece, il dibattito è così deprimente che basta guadagnare 50 mila euro per essere classificati tra gli abbienti
Il dibattito economico nei paesi sviluppati più o meno vicini rende l’Italia un caso abbastanza singolare. Non che si discuta di problemi diversi, ovunque si parla di crescita, povertà e ricchezza. La differenza, piuttosto, è nelle soglie e nelle definizioni di questi termini. Il distacco, insomma, è più quantitativo che qualitativo. Facciamo tre brevi esempi.
In questi giorni, negli Stati Uniti sta facendo discutere un post su Substack, poi divenuto un articolo su The Free Press, di un assett manager, Michael W. Green, secondo cui la povertà negli Usa è molto sottostimata. La soglia di povertà ufficiale per una famiglia di quattro persone è di 31.200 dollari, molto inferiore al reddito mediano di circa 80 mila dollari. Questo implicherebbe che la famiglia media americana è ben al di sopra della linea di povertà e può affrontare tutte le necessità. Ma, secondo il finanziere, tutto si basa su una metodologia antiquata nata negli anni 60. Se si usano i costi medi per le esigenze minime attuali per vivere decentemente nella società la linea di povertà è molto più alta: 140 mila dollari (figli 32,8 mila, casa 23,2 mila, cibo 14,7 mila, trasporti 14,8 mila, salute 10,5 mila, altro 21,8 mila, tasse 18,5 mila). Vorrebbe dire che due terzi delle famiglie americane sono povere. L’articolo di Green è ovviamente una stupidaggine, ma è diventato virale tra il ceto medio che non si sente più benestante ed è stato molto discusso e criticato da giornali e think tank, dal Washington Post all’American Enterprise Institute.
Domenica, invece, in Svizzera si è votato per un referendum che proponeva l’introduzione di una super tassa sui ricchi per finanziare la lotta al cambiamento climatico: una tassa di successione del 50 per cento sui patrimoni sopra i 50 milioni di franchi svizzeri (circa 53 milioni di euro), che avrebbe colpito solo 2.500 contribuenti. Secondo i promotori la tassa avrebbe prodotto un gettito annuo di 6 miliardi di franchi, ma secondo i critici avrebbe fatto fuggire i ricchi dal paese producendo una perdita di gettito tra 200 milioni e 3,6 miliardi di franchi. Alla fine la proposta è stata sonoramente bocciata con il 78 per cento di No.
Questi due casi mostrano che rispetto all’Italia non c’è una differenza con i temi in agenda. Anche qui si parla di misure per il “ceto medio” nella legge di Bilancio e di redistribuzione della ricchezza attraverso una patrimoniale. L’enorme distanza con l’America e la Svizzera è sulle soglie, rispetto a ciò che consideriamo “ceto medio” e “ricchezza”. In Italia ci sono attacchi feroci contro il governo per una manovra “a favore dei ricchi” per il taglio di due punti di Irpef (36 euro al mese) ai redditi sopra i 50 mila euro, quelli che iniziano a pagare l’aliquota marginale massima del 43 per cento (negli Stati Uniti l’aliquota marginale più alta, al 37 per cento, scatta oltre i 610 mila dollari!). Al contempo, da sinistra la Cgil propone una patrimoniale sulle ricchezze superiori a 2 milioni di euro che colpirebbe 500 mila contribuenti (200 volte in più rispetto alla proposta svizzera).
Insomma, se in America si discute se si è poveri con 140 mila dollari, in Italia si discute se si è ricchi con 50 mila. E se in Svizzera si discute se si è super ricchi oltre i 53 milioni di euro (in Francia la soglia della rigettata “Zucman tax” era di 100 milioni), in Italia si discute se lo si è già a partire da 2 milioni. E’ un dibattito deprimente, tipico di un’economia stagnante che da troppo tempo non sa più come far crescere la ricchezza e ci ha ormai rinunciato. Così basta davvero poco per essere ricchi.