tra virgolette
L'AI in stallo. I dirigenti ne parlano sempre, ma l'uso effettivo nelle aziende resta troppo basso
Solo l'11 per cento dei lavoratori la usa davvero. L'Economist scrive che "il ritorno economico dell’AI arriverà più lentamente, in modo più irregolare e a un costo maggiore" rispetto a quanto farebbe pensare il boom degli investimenti delle big tech
Gli investitori si aspettano che l'uso dell'intelligenza artificiale aumenti vertiginosamente. Ma questo non sta accadendo. Titola così un articolo dell'Economist, che, analizzando una serie di nuove survey e indicatori economici, suggerisce come il boom dell’AI non si sia ancora tradotto in un uso diffuso della tecnologia nelle aziende. Anzi, nonostante l’enorme attenzione globale sull’intelligenza artificiale generativa, la sua adozione nelle imprese, a cominciare da quelle americane, sembra aver raggiunto una sorprendente fase di stallo. Una frenata che potrebbe avere ripercussioni pesanti, considerando gli investimenti mastodontici che le big tech stanno effettuando per costruire le infrastrutture della futura economia dell’AI.
L'Economist cita l’ultimo sondaggio del Census Bureau, secondo il quale "la quota ponderata per l’occupazione degli americani che usano l’AI al lavoro è diminuita di un punto percentuale e ora si attesta all’11 per cento". Un risultato "inaspettato a tre anni dall’ondata della generative AI". Il calo è particolarmente evidente "nelle aziende più grandi, quelle con oltre 250 dipendenti", dove l’adozione è "crolata bruscamente". Quello evidenziato è un fenomeno importante, perché la produttività globale dipende dall’adozione dell’AI da parte delle aziende, non dei singoli consumatori. Senza una forte adozione aziendale, i conti non tornano. L’adozione dell’AI non è solo una questione tecnologica, ma soprattutto economica. Il settimanale britannico ricorda che "da oggi al 2030 le big tech spenderanno 5.000 miliardi di dollari in infrastrutture per fornire servizi di AI". Per rendere sostenibili questi investimenti, saranno necessari "circa 650 miliardi di dollari di ricavi annui da AI, rispetto ai circa 50 miliardi attuali". E poiché "i consumatori acquisteranno solo una frazione di ciò che è necessario", saranno le imprese a dover colmare il gap. Ma se l’adozione ristagna, il modello non regge.
La frenata emerge su più fonti. L'Economist cita anche altre survey, come quella di Stanford, secondo cui "il 37 per cento degli americani usava la generative AI al lavoro a settembre, in calo rispetto al 46 per cento di giugno"; quella della Fed di St. Louis che sostiene che nel 2024 "il 12,1 per cento degli adulti in età lavorativa usava l’AI generativa ogni giorno… un anno dopo la percentuale è appena salita al 12,6 per cento" e infine quello della compagnia fintech Ramp, secondo cui l’adozione "è schizzata al 40 per cento per poi stabilizzarsi".
Possibili spiegazioni
Le possibili cause del rallentamento, secondo l'Economist sono almeno quattro. Intanto l'incertezza economica, in un contesto segnato da "guerre commerciali, calo dell’immigrazione e un outlook incerto sui tassi d’interesse", elementi che frenano nuovi investimenti. Poi le possibili “pause fisiologiche” nell'adozione della nuova tecnologia, che procederebbe a ondate. La storia mostra che le innovazioni "tendono a diffondersi a salti", come accadde ai computer che "alla fine degli anni ’80 rallentarono, prima di accelerare negli anni ’90". Ci sarebbero poi dinamiche interne alle aziende. L'Economist evidenzia un divario tra entusiasmo dei vertici e uso reale: in conference call "quasi due terzi dei dirigenti citano l’AI", ma gli utilizzatori concreti sono molti meno: "l’87 per cento dei dirigenti usa l’AI nel lavoro, contro il 57 per cento dei manager e il 27 per cento dei dipendenti". È possibile che alcuni progetti vengano avviati per compiacere il top management, e poi ridimensionati. Ci sono infine dubbi sull’utilità immediata e si moltiplicano le evidenze che "l’attuale generazione di modelli non sia in grado di trasformare la produttività della maggior parte delle aziende".
Tre segnali che i ritorni dell’AI non sono ancora all’altezza
Prima di elencare i segnali concreti, l'Economist osserva che sta emergendo una crescente disillusione sulla reale capacità dell’AI di migliorare subito la produttività e i margini aziendali. Nonostante gli annunci entusiastici da parte dei vertici e l’enorme volume di investimenti, molte organizzazioni stanno iniziando a interrogarsi sul fatto che l’AI generativa, nella sua forma attuale, possa davvero offrire benefici economici tangibili. L’articolo sottolinea come si stiano accumulando "prove" del fatto che i risultati finora ottenuti non siano all’altezza delle aspettative.
Primo: i mercati finanziari sono poco convinti. Goldman Sachs ha creato un indice di aziende con forte potenziale derivante dall’AI. Ma recentemente "l’indice ha iniziato a sottoperformare". Gli investitori "non vedono ancora l’adozione dell’AI tradursi in maggiore profittabilità o crescita". Secondo, molti dirigenti sembrano delusi dai risultati. Un sondaggio Deloitte mostra che "il 45 per cento dei dirigenti ha avuto ritorni inferiori alle aspettative" e solo "il 10 per cento ha superato le attese". McKinsey aggiunge che per la maggior parte delle aziende "l’AI non ha ancora avuto un impatto significativo sui profitti complessivi". Infine ci sono alcuni effetti collaterali sulla produttività. L’articolo del settimanale parla di "curva a J della produttività": cioè l’introduzione dell’AI può inizialmente ridurre l’efficienza aziendale. Inoltre, uno studio identifica la "trappola della mediocrità della generative AI", dove l’AI permette di produrre risultati "abbastanza buoni", aiutando i lavoratori meno forti ma "riducendo la produttività dei migliori, che finiscono per impegnarsi meno".
In definitiva, per l'Economist, le aziende impareranno a integrare meglio l’AI e i modelli continueranno a migliorare. Tuttavia, questa fase di stallo indica che "il ritorno economico dell’AI arriverà più lentamente, in modo più irregolare e a un costo maggiore" rispetto a quanto farebbe pensare l’attuale boom degli investimenti. Ma se l’adozione non accelererà rapidamente, "i ricavi necessari a giustificare i 5.000 miliardi di dollari di investimenti rimarranno fuori portata".