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l'incontro
L'ad di Acea Fabrizio Palermo ci spiega cosa vuol dire per l'Italia la rivoluzione dell'acqua
Efficienza per crescere. Ristrutturare per prosperare. Combinare pubblico e privato. Verso un cambiamento davvero profondo per l’intera economia italiana
La chiamano rivoluzione dell’acqua e non è un’iperbole. Il cambiamento è davvero profondo per l’intera economia italiana non solo per l’antica azienda della capitale diventata comunale nel 1909 dopo un referendum indetto da Ernesto Nathan il quale voleva sottrarsi, lui inglese di nascita, alla dipendenza dalla Società Anglo-piemontese. L’acqua è vita lo sappiamo, è salute, è sviluppo, tuttavia manca la consapevolezza di quanto sia diventata, ora più che mai, una risorsa strategica. L’Acea vuol smentire questo senso comune aprendo la strada a una svolta. Quando ne parla con il Foglio, l’amministratore delegato Fabrizio Palermo si appassiona. “L’acqua in fondo ha segnato le mie maggiori esperienze professionali: alla Fincantieri che costruisce navi, alla Cassa depositi e prestiti che finanzia anche le infrastrutture idriche e adesso in questa nuova sfida”. Quella che una volta era l’azienda comunale elettricità e acqua, sta cambiando missione: diventa una water company, il primo operatore idrico in Italia e il secondo in Europa; ha contribuito a portare la “resilienza idrica” tra le priorità europee, mentre a Davos il Forum economico mondiale s’appresta a varare un manifesto elaborato insieme all’università di Cambridge. Palermo ne è orgoglioso e non lo nasconde nonostante abbia sempre scelto di non parlare né far parlare di sé e invece di guardare ai fatti.
La nuova missione non cala dall’alto, era già dentro l’azienda (due terzi dell’utile dipende dalla distribuzione idrica), ma è emersa, per restare sulle metafore acquatiche, scrollandosi di dosso la polvere del tempo. Le ampie finestre del quartier generale dell’Acea si aprono su porta San Paolo e la piramide dove Gaio Cestio Epulone si fece tumulare nel 12 avanti Cristo. La storia, e questa storia, non si cancella, ma si rinnova. Proseguendo il cammino sul ponte tra passato e futuro, citiamo l’ammodernamento in corso dell’Acquedotto del Peschiera che da un secolo porta in città acqua sorgiva dalle montagne della Sabina: uno dei maggiori al mondo nella sua categoria con 130 chilometri di condotte, diventerà tra i più avanzati tecnologicamente, attraverso l’uso dei robot e dell’intelligenza artificiale sulle cui applicazioni Palermo è focalizzato in particolare per l’Italia, perché “servirà a ridurre la burocrazia liberando lo spirito imprenditoriale del quale il paese è ricco”.
Il nostro incontro comincia con un percorso personale. Nato a Perugia nel 1971 da padre perugino e madre altoatesina entrambi funzionari europei, laureato con lode in economia alla Sapienza, il giovane Fabrizio “risciacqua i panni” nel Tamigi, si occupa di banche e assicurazioni per la Morgan Stanley poi diventa un McKinsey boy e partecipa a numerose ristrutturazioni, tra cui le Poste di Corrado Passera. Un’esperienza formativa che lo introduce a quella ancor più ardua alla Fincantieri, assunto nel 2005 da Giuseppe Bono il quale, dopo aver guidato la Finmeccanica, intendeva rilanciare un’azienda appassita, lassù nella lontana Trieste. Palermo doveva portarla in borsa come era stato fatto per la Finmeccanica; un compito che sembrava impossibile. Il giovane direttore finanziario e il vecchio boiardo di stato (anche se lui odiava questa definizione) risanano la Fincantieri, la ristrutturano con il sindacato alle porte, la globalizzano. La grande svolta è il ritorno nel militare sbarcando negli Stati Uniti: non più solo panfili da crociera, ma navi da combattimento come le fregate europee (insieme alla Francia) e quelle per la marina americana (la classe Littoral Combat Ship), e i sottomarini.
Dopo nove anni e mezzo, il 3 luglio, arriva finalmente la quotazione. Palermo torna a Roma, alla Cassa depositi e prestiti. L’allora amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini (oggi presidente) che aveva conosciuto durante la quotazione (Cdp è azionista della Fincantieri) aveva bisogno di un uomo dei conti che sapesse essere anche uomo di strategie. Quando arriva trova una scrivania vuota con una scatolina da cioccolatini contenente un post-it, tre matite e due penne. E il computer? “Non si preoccupi dotto’ tra qualche giorno, massimo una settimana, arriva” risponde il commesso. Lo attendono, prima come direttore finanziario poi come amministratore delegato, sette anni di cambiamenti, a cominciare dagli uomini: “Ho immesso forze fresche analizzando migliaia di curricula, con una selezione alla McKinsey, perché sono gli uomini a fare le aziende”. La sua squadra l’ha portata con sé quando ha potuto, per lavorare in sintonia con chi conosci e ti conosce. Le persone restano al primo posto in una ideale prontuario del buon manager: il capitale umano, i processi, i sistemi e le missioni.
Sul filo della memoria, Palermo sottolinea che a Trieste un tempo non voleva andare nessuno, l’azienda non aveva identità, gli stessi lavoratori dicevano di essere impiegati nei cantieri navali sparsi per l’Italia, dimenticando (o nascondendo) il nome Fincantieri. Quanto a Cdp, nonostante la sua storia affondi nel Regno di Sardegna, era ancora ignota ai più. La Cassa invece diventa in pieno una banca e un fondo d’investimento. Palermo ricorda in particolare operazioni come Webuild, Nexi l’operatore europeo dei pagamenti, Euronext fondendo Borsa italiana, Autostrade, il venture capital, una razionalizzazione degli investimenti infrastrutturali e delle partecipazioni azionarie, il fondo Atlante nel 2017, per far fronte alle crisi bancarie. Strategie e conti, perché il manager è attento ai risultati, soprattutto all’utile netto, l’ultima riga del conto economico quella che conta davvero.
Un lungo percorso non sempre facile tra pubblico e privato, tra proprietà e gestione, alla Fincantieri, alla Cdp, e dal settembre 2022 all’Acea dove il comune di Roma ha il 51 per cento del capitale, ma i francesi di Suez il 23,3 per cento, Francesco Gaetano Caltagirone il 5,4 per cento il mercato il 20,2 per cento.Il titolo vola, oggi il titolo Acea vale il doppio da quando Palermo si è insediato. “Ritengo che ci possa essere un sano connubio tra una visione di medio-lungo periodo tipica dell’azionista pubblico e lo stimolo del privato focalizzato sul rigore della gestione”, sostiene Palermo. La bilancia, però, oscilla sempre e l’equilibrio non è scontato. “D’accordo, ma in base alle mie esperienze questo rapporto ha consentito di realizzare storie di indubbio successo e ha maggior valore in settori collegati alle infrastrutture”. Anche tra manager e azionisti, la chiave per una buona gestione è incrociare strategie industriali e risultati economici. Palermo è consigliere di amministrazione delle Assicurazioni Generali indicato dagli azionisti di minoranza e può far valere la sua preparazione finanziaria.
Ma ora è tutto concentrato sulla missione Acea. “L’azienda ha un know how unico nel settore idrico che andrà una trasformazione pari se non anche più impattante di quella energetica. L’acqua è stata trascurata troppo a lungo. Gli investimenti sono vecchi, hanno fino a 90 anni, finanziati con i bilanci pubblici. “Ci siamo abituati che le cose bene o male funzionavano. Ma al deteriorarsi naturale delle infrastrutture si è aggiunto il fattore climatico. Piove in misura diversa e in luoghi diversi, quindi c’è bisogno di una rete flessibile”.
Il riscaldamento dell’atmosfera tiene in sospensione una grande quantità di vapore, rendendo più imprevedibili e incostanti le piogge anche in un paese come l’Italia mediamente piovoso e dotato di fonti importanti. “Il problema da noi sono i tubi che provocano una perdita media del 42 per cento. Cominciamo con il ripararli prima di passare ad altre soluzioni come ad esempio la desalinizzazione. A Roma siamo riusciti a ridurre le perdite sotto il 27 per cento”. C’è sempre più bisogno di investimenti e innovazione tecnologica, tutto questo porta la questione idrica in primo piano. “L’Acea oggi è un interlocutore autorevole, ce lo ha riconosciuto anche il governo inserendoci come unico operatore dell’idrico nel piano Mattei”. Occorre una o più grandi imprese come punto di riferimento insieme a un progetto di sistema che intervenga a vari livelli. Il servizio idrico ad esempio è frammentata tra 2.400 operatori che fanno capo ai Comuni; perché non affidare ad ambiti regionali la regolazione della rete? L’acqua scorre, ma non si sposta, in altre parole non è possibile portarla da un punto all’altro del paese. Si possono inoltre prevedere misure di sostegno alla ristrutturazione edilizia che comprenda il riuso, il doppio circuito in casa è una soluzione sempre più importante. Ma attenzione, e qui Palermo ha in mente le polemiche aspre negli anni scorsi e nient’affatto sopite, le tariffe oggi non ripagano gli investimenti. “L’acqua è un bene pubblico, non si paga l’acqua, si paga però tutto il resto, dalla depurazione alla distribuzione. Il servizio dunque va remunerato per finanziare le infrastrutture”.
La nuova Acea è organizzata in tre holding, una per l’acqua una per la gestione della rete elettrica (ha abbandonato la parte commerciale) e l’altra per il ciclo dei rifiuti. Più a.Quantum che fornisce servizi sul mercato non regolato. “Sono solo un ricordo i blackout degli anni passati – sottolinea il manager con soddisfazione – tuttavia l’elettrificazione spinta, dalle cucine a induzione all’auto, ha cambiato i consumi e anche i picchi non più in estate come da tradizione per via dell’aria condizionata, ma piuttosto in inverno in seguito all’abbandono progressivo del gas anche per il riscaldamento. Ciò richiede di gestire diversamente una rete sempre più sovraccarica”. Il termovalorizzatore di Roma è davvero una decisione storica. Quanto ha inciso il rapporto con il sindaco Roberto Gualtieri? “Personalmente lo stimo molto, con lui come ministro dell’economia abbiamo fatto la maggiori operazioni della Cdp. A Roma ha mosso la macchina pubblica e non è una cosa facile; al di là delle considerazioni politiche i risultati si vedono”.
L’impianto è troppo vicino alla città come sostengono i suoi oppositori? In realtà si trova nell’area industriale di Pomezia e in grandi metropoli europee impianti del genere sono persino nelle aree residenziali come a Parigi e Copenaghen; diventano dannosi solo se non funzionano bene. L’Acea, dunque, non è più la municipalizzata romana e non è solo una multi-utility cioè una società che eroga servizi di pubblica utilità, è una impresa che costruisce e gestisce grandi infrastrutture, ne garantisce la sicurezza, capitalizza in borsa quasi 5 miliardi di euro (un valore più che raddoppiato in tre anni) e guadagna: l’utile netto è di 415 milioni di euro nei primi nove mesi con un aumento del 45 per cento mentre i ricavi sono saliti del 7 per cento a 2,2 miliardi. Il gas ha trovato un’azienda di riferimento, la Snam; per distribuire l’elettricità c’è Terna; per l’acqua c’è l’Acea. E’ questo l’obiettivo di Palermo, la terza trasformazione professionale dalla finanza alla manifattura alle infrastrutture strategiche. Il suo mandato scade ad aprile. Non ci sono segnali che gli azionisti vogliano cambiare. Ma a primavera avrà solo 55 anni e un’aria da ragazzo quando si lascia andare.