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Opposizione Cercasi

Il Campo largo propone tanto senza fare i conti

Luciano Capone

Pd, M5s, Avs e Iv presentano un mini-programma da 16 emendamenti alla manovra, tra sanità, fisco, welfare e industria. Peccato che le coperture si fermino a 2 miliardi su 25 miliardi di spese previste

Il fatto che la coalizione di centrosinistra non sia un’alternativa credibile a Giorgia Meloni non è solo una preoccupazione di Francesco Saverio Garofani, il consigliere del presidente Mattarella. E non è solo un dato evidente nei sondaggi sulle intenzioni di voto. E’ anche una realtà visibile nella discussione sulla legge di Bilancio. Il campo largo, che va dal Pd al M5s passando per Avs e Iv, è riuscito a trovare una sintesi politica su un pacchetto di 16 emendamenti alla manovra di Meloni e Giorgetti: dal fisco al lavoro, dalle pensioni all’industria, dal welfare alla sanità.

Insomma, un vero programma politico. Il problema, però, è che non tornano i conti: il totale delle spese fa 25 miliardi, quello delle coperture appena 2 miliardi.

Dei 16 emendamenti unitari, ce ne sono alcuni che non comportano costi. Come l’estensione dell’autorizzazione unica prevista per la Zes al territorio nazionale, una proposta del Pd che peraltro il governo farebbe bene ad accogliere. Così come gli emendamenti contro la limitazione dell’autonomia scolastica (Pd), il taglio delle supplenze brevi (M5s) e sul personale della giustizia (Avs).

C’è poi un gruppo di emendamenti che ha un costo con una copertura ben identificata. Ad esempio, l’emendamento che punta alla sterilizzazione del fiscal drag attraverso l’indicizzazione degli scaglioni Irpef e delle detrazioni ha un costo stimato in 1 miliardo di euro. La copertura, secondo i partiti di opposizione, viene dal taglio da 2,2 a 1,2 miliardi del Fondo per i contenziosi nazionali ed europei: si tratta di una copertura certa, ma comunque rischiosa perché potrebbe aprirsi un buco nel bilancio se l’Italia dovesse soccombere in diverse controversie legali. Per la proroga di “Opzione donna”, che ha un costo indicato in circa 400 milioni, viene indicata come copertura una “corrispondente riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione”: è discutibile usare risorse che dovrebbero servire ad aumentare l’occupazione femminile per lo scopo opposto, ovvero farle uscire anticipatamente dal mercato del lavoro, ma è una legittima scelta politica.

Un cavallo di battaglia del campo largo, ora appoggiato anche da Matteo Renzi, è il salario minimo: l’emendamento prevede l’istituzione di un fondo da 100 milioni di euro per contenere transitoriamente il maggior costo del lavoro a carico dei datori di lavoro: la copertura è l’azzeramento del Fondo per il potenziamento delle finalità istituzionali dello stato (pari a 100 milioni). C’è poi la soppressione dell’emendamento che adegua i requisiti pensionistici per il personale delle Forze armate, di polizia e dei vigili fuoco: costo 300 milioni, coperti tagliando il Fondo per gli interventi strutturali di politica economica. Infine, sempre sul fronte sicurezza, c’è l’emendamento di Italia viva che aumenta il personale delle forze dell’ordine tagliando i costi del “protocollo Albania” tanto caro alla Meloni.

Sin qui si registrano 2 miliardi di spese con relative coperture. Poi c’è il pacchetto più sostanzioso: circa 23 miliardi di spese senza coperture reali.

Sulla sanità la sinistra punta ad arrivare a un finanziamento del fondo sanitario pari al 7,5 per cento del pil, incrementando le spese di 10,5 miliardi nel triennio (2,5 nel 2026, 3 nel 2027 e 5 nel 2028). Con quali soldi? Ecco le voci indefinite che saranno ricorrenti per tutte le altre misure: spending review, lotta all’evasione e taglio dei Sussidi ambientalmente dannosi (Sad).

Sul fisco la proposta è un taglio dell’Irpef, attraverso l’aumento della No tax area fino a 15 mila euro con trascinamento fino a 60 mila euro. Costo: 4 miliardi. Un’altra misura molto costosa è il congedo paritario. Costo: 3 miliardi. C’è poi l’aumento dell’Assegno unico per i figli di 70 euro mensili per le famiglie con Isee sotto i 25 mila euro. Costo: 5,4 miliardi. Sull’industria, il campo largo propone il ripristino di Transizione 4.0. Costo: 5 miliardi. C’è poi l’incremento delle risorse per l’università: 230 milioni. Infine la “Start tax”, ovvero il dimezzamento delle aliquote Irpef per i giovani. Costo: 4 miliardi.

Come detto, tutte queste misure, che superano di 5 miliardi il valore dell’intera manovra (18 miliardi), non hanno una reale fonte di finanziamento. L’opposizione dice che dovrà essere il Mef, ovvero il ministro Giorgetti, a trovare i soldi. E come? Con la spending review, ad esempio, ma senza toccare le spese per “salute, welfare, istruzione, università, ricerca, stipendi, assegni, pensioni, enti territoriali, formazione, 5 per mille e ambiente”. Cosa resta? Non si sa, il centrosinistra non lo dice.

Forse non vuole aiutare Giorgetti nella caccia al tesoretto. Quanto alla “lotta all’evasione fiscale” Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni e Renzi non indicano alcuna misura concreta. Restano i Sad, i sussidi ambientalmente dannosi: bisogna eliminarli, dice l’opposizione senza indicarne uno, ma “senza determinare aumenti della pressione fiscale”. Il che è una contraddizione in termini: perché ridurre un Sad, che in genere è un’agevolazione fiscale, significa aumentare il prelievo. Il paradosso è che in questa legge di Bilancio Meloni e Giorgetti hanno realmente tagliato uno dei Sad più grandi, allineando le accise su gasolio (in aumento) e benzina (in calo). Ma la reazione è di forte opposizione: “Il governo aumenta le tasse sul diesel!”, è la posizione del campo largo. Unito, ma senza coperture.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali