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Il dato e il Colloquio

Risparmiatori sì, investitori no: così l'Italia spreca il tesoro delle famiglie

Mariarosaria Marchesano

Mentre Usa, Svezia e Germania mobilitano la ricchezza privata per pensioni e giovani, gli italiani restano fermi tra conti correnti gonfi, Btp e paura dei mercati: il 56 per cento delega al pubblico o all'eredità familiare il proprio destino finanziario, secondo una ricerca di Pictet-Finer Finance Explorer. Intervista

Essere un popolo di risparmiatori non vuol dire essere in grado di pianificare gli investimenti nel corso della vita, pensando, per esempio, alla vecchiaia o al futuro dei figli. Secondo una ricerca-sondaggio di Pictet-Finer Finance Explorer, il 56 per cento degli italiani conta su un sistema pensionistico pubblico o su eredità e lasciti familiari, in una sorta di “eteronomia economica” basata su una pericolosa delega del proprio destino finanziario.

Un’ampia letteratura in materia ne spiega le ragioni, tra cui ignoranza e ansia finanziaria che rende incapaci di valutare i rischi connessi con gli investimenti. E la situazione non migliora guardando gli ultimi dati. Però anche la politica mostra scarsa consapevolezza delle potenzialità che si nascondono dietro l’impiego della ricchezza privata mentre il dibattito nazionale si limita a patrimoniale sì, patrimoniale no, e guarda con impotenza la liquidità crescente sui conti correnti.

In altri paesi, invece, i governi si stanno dando un gran da fare per incoraggiare gli investimenti delle famiglie con l’idea che questo un giorno potrà ridurre l’impatto dei costi delle pensioni sui conti pubblici. Negli Stati Uniti, per esempio, Donald Trump ha fatto approvare una legge che prevede di aprire un conto per i neonati americani con un versamento iniziale di 1000 dollari da parte del governo federale. Una piccola somma messa da parte che cresce nel tempo grazie all’interesse composto (tipico di alcuni fondi di investimento e dei piani di accumulo) e ai contributi di familiari e amici, massimo 5 mila dollari all’anno, che godono di una fiscalità super agevolata. Le somme accumulate, che si possono prelevare tra i 18 e 25 anni per motivi di istruzione, casa e avvio di impresa, oppure diventare un tesoretto di lungo termine, vengono così investite sui mercati azionari. Ma, si sa, nella cultura americana la Borsa è da sempre considerata un’alleata per integrare il reddito familiare e il vitalizio nella terza età.

L’Europa è sempre stata più conservativa sebbene le cose negli ultimi tempi stiano cambiando. Come spiega al Foglio Daniele Camilli di Pictet Asset management, “una recente raccomandazione dell’Unione europea ha imposto agli stati una riflessione sulle migliori modalità di collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti in questo campo. Il modello di riferimento individuato a livello europeo è quello svedese, che da 13 anni consente ai cittadini di investire in strumenti quotati, azioni, obbligazioni, etf con una tassazione molto bassa, quasi vicina allo zero”.

Anche la Germania ha intrapreso una strada analoga superando la proverbiale prudenza nell'impiego dei risparmi privati. La scorsa estate, il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha lanciato il “Fruhstart Rente”, un programma che prevede che lo stato versi 10 euro al mese ai bambini tra i 6 e i 18 anni a partire dal 2026. Il denaro viene investito in un fondo azionario vincolato fino all’età pensionabile con l’obiettivo di incentivare il risparmio delle nuove generazioni e sostenere le future pensioni. Insomma, il capitale è bloccato fino a 67 anni. La sicurezza del futuro non può poggiare solo sulle spalle dello stato, ha detto in sintesi Merz spiegando l’iniziativa direttamente ai giovani su Youtube.

E gli italiani? Continuano a prediligere strumenti che considerano più sicuri, aumentando la liquidità sui conti correnti e la preferenza per i titoli di stato. “L’Italia – prosegue Camilli - mostra un evidente ritardo nella partecipazione ai mercati azionari rispetto ad altri paesi dell’Unione, soprattutto nord europei, in cui un’allocazione più equilibrata e più rischiosa ha permesso di preservare la ricchezza reale nell’ultimo decennio”. E’ chiaro, però, che l’impegno dei governi dipende sempre dalla disponibilità di risorse pubbliche. La Germania spenderà, infatti, un miliardo all’anno per quella che è stata definita la “paghetta previdenziale”. Non è un caso che l’Unione europea abbia raccomandato il modello svedese che non impatta sui conti dello stato perché si basa sulla detassazione degli investimenti finanziari, con il risultato che i conti Isk (così si chiamano) hanno avuto un grande successo attraendo milioni di risparmiatori e mobilitato ingenti capitali.

Fuori dall’Europa, altre esperienze sono quella storica del Regno Unito dove da almeno 40 anni i risparmi investiti per i minori sono detassati, e di Singapore, dove esiste proprio un patto pubblico privato: ogni somma stanziata dallo stato ne corrisponde una analoga della famiglia con una formula di cofinanziamento delle nuove generazioni.

 

 

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