Foto:Ansa. 

Il Caso

Perché l'industria del risparmio gestito ha un guaio di nome Azimut

Mariarosaria Marchesano

Tracollo in borsa  per l'azienda guidata da Pietro Giuliani dopo che Banca d’Italia ha rilevato “significative carenze di governance e organizzative”, chiedendo di mettere in campo un’azione di “rimedio”:  meno 10 per cento ieri sera

Che il risparmio sia sempre di più un tema sensibile si vede anche dal caso scoppiato tra i grandi gestori patrimoniali: Azimut, la società fondata e guidata da Pietro Giuliani, e che vede tra i suoi investitori fondi internazionali come Ubs, Vanguard e Norges Bank, ha avuto un tracollo ieri in Borsa (è arrivata a perdere il 15 per cento per poi chiudere a  -10) dopo che la Banca d’Italia ha rilevato “significative carenze di governance e organizzative” chiedendo di mettere in campo un’azione di “rimedio”.

Risentita la reazione di Giuliani, gestore di lungo corso e molto noto nel suo campo, il quale, nel tentativo di contenere il panico che si era scatenato tra gli investitori, è andato subito al punto: “Preferiremmo che ci fosse consentito in tempi ragionevoli di ottenere la licenza in Italia, ma se ciò non fosse possibile, esistono altri paesi, ad esempio la Svizzera (dove già operiamo)”.

L’ispezione della vigilanza ha messo in discussione l’inadeguatezza della struttura aziendale di Azimut nel momento in cui il gruppo sta progettando il grande salto nel fintech accanto al Fondo strategico italiano guidato da Maurizio Tamagnini. Grazie all’evoluzione tecnologica e all’intelligenza artificiale, infatti, le banche digitali sono quelle che oggi promettono i maggiori margini di guadagno. Per questo è nata, come start up, la Tnb, che sta per The Next Bank, in collaborazione con Fsi. Ma per operare come fintech in Italia bisogna avere determinati requisiti e Azimut deve rimuovere tutte le carenze organizzative riscontrate per potere andare avanti. E non basta. La risoluzione di tali criticità, dice la Banca d'Italia, “non è condizione sufficiente” perché sarà lo stesso organo di vigilanza a valutare, in sostanza, se l’iter avrà avuto un esito positivo.

Dal canto suo, Azimut, che vede il rischio di un allungamento dei tempi se non di un vero stop, minaccia di realizzare il progetto di banca digitale in Svizzera. Azimut, che opera in diversi paesi, ha 123 miliardi di masse di ricchezza privata in gestione e l’Italia rappresenta quasi la metà. Inoltre, tra i suoi partner nella distribuzione di prodotti ci sono diverse banche italiane, compresa Unicredit. Normale, quindi, che la notizia abbia creato un certo scalpore in un periodo in cui tutto ciò che si muove nel settore della finanza è tenuto sotto stretta osservazione.

Per Azimut non esiste un rischio di illiquidità o altro, anche perché i suoi conti sono in crescita (visto che il settore del risparmio gestito gode di buona salute), ma di assetto organizzativo e di controllo che in campo bancario, comunque, non è un aspetto di secondo piano. C’è da dire, inoltre, che, da quanto comunicato dalla stessa società su richiesta della Consob, i rilievi di Bankitalia, prima ancora di focalizzarsi sul progetto Tnb, evidenziano una generale incompatibilità della struttura “con la complessità operativa dell’intermediario e del gruppo”, quindi con le operazioni previste dall’attività di gestione del risparmio. Dunque, è da qui che dovrebbe ripartire Azimut e tutte le realtà di un settore considerato di interesse nazionale.

Di più su questi argomenti: