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Formula crisi

Bene in Borsa, male in pista, e ora la strigliata di Elkann ai piloti. Che cosa non va alla Ferrari

Stefano Cingolani

Il Cavallino rampante non vince un campionato mondiale piloti dal 2007. Gli esperti spiegano che da tempo l’impostazione progettuale è troppo tradizionale: si è scelta la continuità rispetto all’innovazione. Mentre Leclerc ha parlato di “modifiche che siamo stati obbligati a fare”

"Ma che fa, li caccia? La domanda è venuta spontanea leggendo lo sfogo di John Elkann contro i suoi piloti di Formula 1. “Pensino a guidare e a parlare meno”, è sbottato dopo il disastroso gran premio del Brasile. Non si riferiva a due pischelli qualunque, ma al pluricampione del mondo Lewis Hamilton, che ha lasciato la sua Londra (anche se non i suoi dreadlock), e al monegasco Charles Leclerc, ritenuto uno dei migliori in assoluto tanto che Max Verstappen, il fuoriclasse che ha debuttato quando non aveva ancora la patente, lo considera il suo più temibile rivale. Sembra che Hamilton stia facendo i bagagli e Leclerc sia tentato, con rammarico visto il suo amore per la Rossa.

 

Il presidente della Ferrari ha usato parole grosse, insolite per come è fatto: ha parlato di “incubo”, ha detto che “si tratta di una questione personale” e ha assolto gli altri, non i piloti. Anche il team principal Frédéric Vasseur è sotto osservazione. Elkann si è lanciato in un paragone singolare esaltando la vittoria del campionato di endurance in Bahrein. Altra storia, altre macchine, altri avversari. La crisi sportiva della Ferrari è ormai sulla bocca di tutti e sulle pagine dei giornali internazionali, a cominciare dallo stesso Wall Street Journal, il più letto nelle borse di tutto il mondo, il cui parere può far salire e scendere qualsiasi titolo, anche quelli che hanno toccato le stelle, come Ferrari. L’azienda capitalizza poco oltre i 70 miliardi di euro, l’intera Exor 16 miliardi e Stellantis 27 miliardi. Nel 2018, quando Elkann ha preso le redini da Sergio Marchionne, la Ferrari valeva 24 miliardi di euro: comprare un’azione costava 100 euro, oggi oltre 400. Insomma un clamoroso successo finanziario che ha seguìto quello dei titoli del lusso.

 

Sono cifre e valori da boutique, da imprese alla Hermès che ti fa aspettare un mese per una cravatta che magari ha in magazzino, solo per esaltarne l’esclusività. Di Ferrari se ne producono poche migliaia (13.752 lo scorso anno) con ricavi di 7 miliardi di euro. Porsche, con oltre 300 mila auto prodotte, fattura 40 miliardi. Una certa disaffezione è apparsa dopo la presentazione del prossimo piano quinquennale e della vettura tutta elettrica: in Borsa il titolo ha perso quasi il 16 per cento e i piani per il 2030 sono cambiati dimezzando la quota elettrica dal 40 al 20 per cento. Non è una fiammata, in un anno il valore è sceso del 13 per cento in media. Le corse fin dall’inizio sono consustanziali alla Ferrari e fanno la differenza. Da sempre il Cavallino rampante ha basato il suo allure sui Grand Prix, ma non vince un campionato mondiale piloti dal 2007 con Kimi Räikkönen mentre l’ultimo titolo costruttori risale all’anno dopo. Non è la prima volta che resta così a lungo a bocca asciutta. Gli storici ricordano il digiuno dal 1964 al 1975 rotto da Niki Lauda sotto la gestione del giovane Montezemolo. Poi dal 1979 al 2000 fino a Michael Schumacher, ben 21 anni senza coppe. Ma adesso evidentemente c’è dell’altro. Che cosa? E’ colpa delle macchine o degli uomini?

 

Cominciamo dalle macchine. Gli esperti spiegano che da tempo l’impostazione progettuale è troppo tradizionale, si è scelta la continuità rispetto all’innovazione. La vettura di quest’anno è veloce sul giro di pista, ma solo in alcune condizioni ideali, ha problemi di gomme che si deteriorano troppo facilmente e di stabilità aerodinamica. I freni si surriscaldano: con errori clamorosi come quelli che hanno provocato una doppia squalifica in Cina (cosa mai avvenuta prima).

 

Possibile che all’improvviso dei tecnici considerati al top siano diventati incapaci? Non ha molto senso. Una spiegazione sarebbe legata alle regole della competizione. Leclerc ha parlato di “modifiche che siamo stati obbligati a fare”. Quali? Si tratta forse dell’altezza da terra, un problema non risolto che incide appunto sia sulle gomme sia sulla stabilità. Dicono che la Ferrari sia in qualche modo sotto tiro e la paura di squalifiche impedisca di osare di più; ciò tradisce, secondo questa spiegazione, la scarsa forza contrattuale nei confronti della Fia. Le difficoltà moltiplicano le tensioni all’interno del team, tra i tecnici, i piloti e i manager. Il Corriere della Sera ha scritto che “lo scarico di responsabilità è stato sistematico da parte di Vasseur, ma non solo”.

 

Certo sono lontani i tempi del “triangolo magico” Montezemolo-Todt-Schumacher. Da allora le cose non hanno più funzionato, con una vera e propria girandola di manager, tecnici e piloti tanto che persino i tifosi più accaniti stentano a ricordare tutti quelli passati al volante della Rossa dopo Schumacher: da Barrichello a Massa, e ancora Alonso, Sainz, Vettel, Räikkönen. Difficile affezionarsi, identificarsi, trovare quella continuità importante non solo per gli sportivi, ma per la vita delle imprese. Adesso le sconfitte hanno accentuato una guida volubile e incerta. La Ferrari sembra proprio sull’orlo di una crisi di nervi.

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