Ansa
Braccia per i campi
Gli occupati agricoli under 35 aumentano del 18 per cento. Buona notizia? Solo in parte
La buona crescita segnalata dal report segue un lungo decennio di decrescita. Il problema è che mancano imprenditori giovani e nuovi architetti capaci di gestire al meglio tutte le innovazioni. La vera novità sarebbe produrre nuovi prodotti, colorati, saporiti e sostenibili
Notizia: nel secondo trimestre del 2025, gli occupati agricoli under 35 sono aumentati del 18 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dati Coldiretti/Censis). Buona notizia? In parte sì, in parte no. Diciamo che ci sono delle sfumature da considerare. Del resto, la terra, soprattutto quella agricola, è ricca di strati diversi e di variazioni di colore. Cominciamo col dire che la buona crescita segnalata dal report segue un lungo decennio di decrescita. Dal 2010 al 2020, secondo i dati del Censimento agricoltura, i giovani under 35 sono scesi del 20 per cento. Nel 2010 le aziende guidate da under 35 erano 186.491, nel 2020 sono 104.886, cioè si attestano intorno al 7.5 per cento. Che dire, il trend, con i suoi alti e bassi, è in parte fisiologico. L’agricoltura grazie alle potenti innovazioni del XX secolo riesce a produrre, almeno in questa parte del mondo, molto con poco. Significa cioè che se una volta la tipica famiglia contadina impiegava per poter produrre tutta la manodopera famigliare non retribuita, a partire da metà degli anni ‘70, come sappiamo, gli occupati dell’industria e poi quelli del terziario hanno superato di gran lunga quelli dell’agricoltura.
Gli imprenditori agricoli sono dunque pochi, un po’ crescono un po’ decrescono, e tranne orribili cataclismi che ci rispediscano ai tempi che furono, la quota di occupati non salirà così tanto. Certo, che entrino giovani laureati è cosa auspicabile. Anche perché gli imprenditori agricoli non giovani sono tanti: il 62 per cento ha un’età compresa tra i 41 e i 64 anni, mentre gli over 65 sono il 23 per cento (dati Ismea). Se osserviamo i parametri, un azienda agricola è più produttiva quando è gestita da persone giovani, poi più si alza l’età più crolla la produttività. A questo dato se ne aggiunge un altro, pure questo problematico. In Italia, la superficie media delle aziende è bassa. La media è intorno agli undici ettari. Pochi. La Spagna ventisei, la Germania sessantatré, la Francia sessantotto. Vero che è la suddetta media è in crescita, nel 2010 la superficie media aziendale si aggirava intorno ai 7,9, ma ancora non ci siamo e cambiare passo è difficile. Qui conta l’orografia del nostro territorio, stretto tra osso e polpa, come da descrizione della buonanima dei Manlio Rossi Doria. Voglio dire, nel nostro paese dove si può fare un’agricoltura cosiddetta intensiva? Sono poche le pianure, le contiamo facilmente, il resto è collina e zone montuose. Ma c’è anche da sottolineare che in Italia ci sono tre grandissime aziende, di migliaia di ettari. Alzano la media.
A cosa porta tutto questo? In Italia alcuni settori strategici e tanto decantati, come l’olio, sono in realtà costantemente in bilico. Per esempio, solo il 4 per cento della nostra olivicoltura è portata avanti da professionisti. Il restante si può facilmente rubricare alla voce olivicoltura part time. Niente di male, ad averceli un paio di moggi di terra con le olive. Ma in un mondo parecchio globalizzato e competitivo, è facile andare in affanno, soprattutto quando, causa nanismo aziendale, manca la possibilità di investire in innovazione. Stessa storia per altri settori strategici, come l’agrumicoltura. Forse, se vogliamo spingere verso l’ottimismo possiamo allargare il campo. E’ chiaro che oggi l’agricoltura che funziona è quella che diserta l’aratro, la zappa, la falce. Insomma, gli strumenti tradizionali. Se devi gestire un’azienda agricola è bene ed è giusto che quest’ultima sia moderna, cioè efficiente e sostenibile. Per questo ci vuole un apporto innovativo. L’innovazione è una rete e l’innovatore è un architetto, qualcuno capace di organizzare gli spazi creativi e orientarli al meglio. Anche l’agricoltura è una rete, una mela non nasce solo dalla pianta, perché la pianta nasce da un’industria sementiera, lavorata con mezzi che sono più sofisticati di una Ferrari. E così via.
Se osserviamo la terra come rete, allora sì, c’è bisogno non solo di giovani imprenditori agricoli, ma anche di nuovi architetti capaci di gestire al meglio tutte le innovazioni, quelle già in uso e quelle ancora da inventare. La vera novità sarebbe produrre nuovi prodotti, colorati, saporiti e sostenibili. Ah, ovviamente, redditizi, anche, soprattutto per chi ha le mani pieni di calli e le unghie sporche di terra: cioè la parte più importante della rete.