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L'analisi

Gli effetti dell'AI sull'occupazione sono meno dirompenti di quanto si pensi

Marco Gambaro

La sostituzione diretta del lavoro c’è in pochi casi e l'impatto dell'intelligenza artificiale è frutto dell’interazione di molte dinamiche diverse. Ma conviene osservare più i risultati dell'Ai che le previsioni e le estrapolazioni. E il caso Amazon è appariscente, ma particolare

In questi mesi si sono rincorsi allarmi preoccupati sugli impatti negativi dell’intelligenza artificiale sull’occupazione che partono spesso da microsostituzioni per prevedere cali drastici degli occupati, mestieri finiti e disoccupazione di massa. Tra le ultime notizie l’annuncio di 30 mila licenziamenti ad Amazon e il rapporto presentato al Senato Usa dalla commissione Salute e Lavoro presieduta da Bernie Sanders che parla addirittura di 100 milioni di posti di lavoro sostituiti dall’intelligenza artificiale nei prossimi 10 anni negli Stati Uniti. Si tratta però di una previsione chiesta a ChatGPT e non di un vero e proprio lavoro di analisi. Il caso di Amazon è appariscente, ma particolare.

 

L’azienda conta 1,5 milioni di dipendenti nel mondo e aveva quasi raddoppiato la sua forza lavoro con la pandemia per reagire ai picchi di domanda. Ora sta razionalizzando le attività e comunque i 30 mila licenziamenti (l’azienda ne conferma 14 mila) costituiscono il 2 per cento della forza lavoro. Il semplice fatto che un Large Language Model riesca a svolgere alcune attività prima realizzate da un lavoratore umano, non significa di per sé che ci sia un calo dell’occupazione. Il caso più famoso è probabilmente quello dei radiologi dove già una decina di anni fa emergeva come l’intelligenza artificiale fosse in grado di leggere gli esami diagnostici come e, per alcuni versi, meglio dei medici umani. Anzi riesce a riprodurre una decina di attività chiave con buone performance, ma non l’altra decina che completano il portafoglio delle competenze di un radiologo. Quindi nelle conferenze AI degli ultimi anni si sono sprecate le previsioni sulla scomparsa dei radiologi, che invece sono cresciuti di numero. Gli effetti dell’AI su produttività e occupazione sono un po’ meno forti e dirompenti di quanto spesso si dica; la sostituzione diretta di lavoro c’è in pochi casi e l’impatto sull’occupazione è frutto dell’interazione di molte dinamiche diverse. Innanzitutto sulla singola attività si intrecciano fenomeni di sostituzione e di complementarietà dove i nuovi sistemi abilitano trasformazioni o miglioramenti dell’attività. Se però vi un aumento della produttività il settore utilizzatore può espandersi per effetto della riduzione dei costi e dei prezzi e quindi aumentare il numero di occupati. Poi ci sono gli effetti generati dall’aumento di dimensione dell’offerta di sistemi AI. E’ vero che in parte vi sono prevalentemente costi fissi iniziali, ma per l’applicazione nelle imprese occorre un’attività di adattamento, personalizzazione e integrazione con i sistemi esistenti che è spesso sottovalutata e che per le innovazioni tecnologiche passate, come l’elettricità o l’informatica, è stata molto consistente.

 

Due recenti ricerche offrono una prospettiva più analitica e si basano su risultati ottenuti invece che su previsioni. La prima diretta a Stanford da Erik Brynjolfsson e basata sulle buste paga di milioni di lavoratori, tra il 2021 e il 2025, gestite da ADP, documenta, su un campione molto grande, per la prima volta effetti concreti e differenziati. In questi anni di esplosione gli effetti complessivi sono stati limitati e quelli negativi hanno riguardato i giovani lavoratori in ingresso che, nei settori molto impattati dall’AI hanno perso circa il 13 per cento di occupazione relativa. Per le stesse professioni, i lavoratori più anziani non solo hanno retto l’urto, ma in molti casi hanno visto crescere la domanda di lavoro. L’AI sostituisce soprattutto la conoscenza codificata, quella che si apprende nei corsi universitari o nei manuali, tipica degli entry-level. Molto più difficile è replicare la conoscenza tacita che si costruisce con l’esperienza: scorciatoie, intuizioni, relazioni. Così, mentre gli junior vengono penalizzati, i senior – depositari di competenze meno automatizzabili – risultano più resilienti.

 

La seconda analisi viene dalla Cina e utilizza probabilmente i dati di Alibaba per realizzare sei esperimenti randomizzati sul campo con milioni di utenti per sei mesi tra il 2023 e il 2024. Miglioramenti generati dall’AI sono stati incorporati in sette processi di interazione con i consumatori e hanno portato incrementi delle vendite fino al 16 per cento, con prezzi e input produttivi (anche lavoratori) tenuti fermi. Vi è quindi un aumento della produttività, generata da un aumento dell’output ma non dalla sostituzione di lavoratori. Nelle quattro applicazioni con risultati positivi il valore incrementale è risultato di circa 5 dollari per utente, un valore economicamente significativo. I venditori più piccoli e i consumatori meno esperti sono caratterizzati dai guadagni maggiori. Naturalmente questo non significa che non ci saranno anche effetti negativi, ma conviene cominciare a guardare gli impatti dell’intelligenza artificiale sull’occupazione osservando più i risultati che le previsioni e concentrandosi più sugli effetti complessivi che sulle estrapolazioni.

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