Foto: Ansa.
Stagione di Riforme
Con il trionfo di Milei la fiducia avanza e l'Argentina respira
Il partito del presidente vince con ampio margine: i mercati festeggiano, lo spread crolla. Alle elezioni gli argentini dicono è meglio l’austerità che porta risultati rispetto all’inflazione. La disfatta del peronismo
“La libertad avanza o Argentina retrocede”, ha detto Javier Milei in campagna elettorale. E’ tanto uno slogan quanto una descrizione della realtà. A preoccupare i cittadini argentini e gli investitori internazionali, infatti, erano proprio le conseguenze di una sconfitta elettorale del presidente nelle elezioni legislative di metà mandato: i primi accumulavano dollari per proteggersi da un’eventuale svalutazione, i secondi vendevano asset argentini per timore dell’ennesimo default. Un rischio finanziario concreto per le strutturali fragilità dell’economia argentina, ma soprattutto un rischio politico per la deliberata volontà dell’opposizione peronista di non pagare il debito “insostenibile”.
Questo circolo vizioso, innescato dalla pesante sconfitta di Milei a inizio settembre nelle elezioni provinciali di Buenos Aires, è stato rotto dalla sorprendente – almeno per le dimensioni – vittoria del partito di Milei, La libertad avanza, alle elezioni legislative di domenica: circa il 41 per cento dei consensi, quasi 10 punti di vantaggio sul blocco peronista Fuerza Patria, ribaltando la sconfitta inaspettata di 50 giorni fa. Allora i mercati avevano reagito malissimo, ora è accaduto il contrario: le azioni argentine a Wall Street sono esplose fino al 50 per cento, la borsa di Buenos Aires è cresciuta del 20 per cento, il dollaro è sceso del 7 per cento rispetto al peso. Il “rischio paese”, cioè lo spread, è crollato di circa 400 punti base (dai 1081 punti di venerdì ai 680 di ieri).
Insomma, la vittoria di Milei ha rimesso sui binari un programma di stabilizzazione macroeconomica che stava per deragliare e che ha avuto bisogno dell’aiuto, probabilmente determinante, dell’Amministrazione Trump che attraverso una linea di credito da 40 miliardi di dollari annunciata dal segretario al Tesoro Scott Bessent ha fermato una corrida che pareva inarrestabile.
Con oltre il 40 per cento dei voti, in elezioni per il rinnovo della metà della Camera e di un terzo del Senato, Milei si è assicurato l’obiettivo minimo di superare gli 86 deputati, che è la soglia di un terzo necessaria a sostenere il veto presidenziale contro leggi approvate dal Parlamento e a impedire la destituzione del presidente: il blocco governativo, che include anche il partito dell’ex presidente Mauricio Macri, passa da 79 a 110 deputati (dal 31 al 43 per cento) e da 13 a 24 senatori (dal 18 al 33 per cento). Vuol dire che non solo la soglia di un terzo è superata agevolmente, ma che i gruppi che sostengono Milei diventano la prima forza parlamentare. Basta un accordo con i partiti dei governatori, l’opposizione più dialogante, a cui Milei ha già fatto delle aperture, per arrivare alla maggioranza assoluta.
Ma più del risultato numerico, conta il significato politico del voto. Il forte sostegno popolare al governo Milei allinea gli incentivi politici verso le riforme e ha notevolmente aumentato la quantità del bene più scarso che c’è in Argentina: la fiducia. Se l’elezione nel 2023 di Milei poteva essere letta come una scommessa dopo il disastro del governo precedente, la vittoria dopo due anni di governo è una conferma che la popolazione – nonostante le difficoltà – continua ad appoggiare il cambiamento. Nella prima parte del mandato, Milei ha portato in surplus il bilancio tagliando circa il 30 per cento della spesa pubblica, ha abbattuto l’inflazione dal picco del 290 per cento al 30 per cento attuale, ha riattivato l’economia dopo due anni di recessione e ha abbattuto la povertà a livelli inferiori a quelli del governo precedente. Risultati molto positivi, oltre ogni più rosea aspettativa, per un governo che ha ereditato un paese prossimo al default, una banca centrale con riserve negative e un’economia sull’orlo dell’iperinflazione.
Certamente l’Argentina ha ancora enormi problemi e il piano del governo delle falle: senza un ritorno sui mercati è difficile pagare i debiti in scadenza e, ancora di più, accumulare riserve. Ma la vittoria elettorale apre una finestra favorevole a costruire un consenso politico per intensificare le riforme: eliminare i controlli di capitale residui, andare verso un regime di cambi flessibili senza salti e traumi, attirare investimenti, accumulare riserve valutarie, abbassare i tassi di interesse, riattivare l’economia e ritornare sui mercati internazionali. Non è certo semplice, ma è più semplice di prima. Ora è chiaro che buona parte dell’instabilità era dovuta al rischio politico: la vittoria di un’opposizione che punta al “tanto peggio, tanto meglio”.
Il messaggio degli argentini è che preferiscono avanzare verso la stabilizzazione che retrocedere nell’inflazione: il ricordo dei disastri prodotti dal peronismo è più forte dei sacrifici chiesti dal mileismo. E anche i mercati apprezzano questa scelta.