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L'analisi

Landini in piazza e la verità a casa

Luciano Capone

Il leader della Cgil  prima diffonde dati falsi sul fiscal drag e poi attacca la Bce: “Dice bugie”. E’ lo stesso negazionismo economico alla base del  fallito referendum sul lavoro e dell’ennesimo sciopero contro la realtà. E la Uil intanto si sfila

La Bce è bugiarda e non sa fare i conti. E’ questo, ormai, il livello delle argomentazioni di Maurizio Landini. Il tema è la restituzione del fiscal drag, rivendicazione sbandierata da mesi nei vari talk show dove si esibisce senza contraddittorio, e probabilmente piatto forte della manifestazione di oggi nonché dello sciopero generale contro la legge di Bilancio che verosimilmente verrà proclamato. 

Il leader della Cgil dice che il governo Meloni, attraverso l’interazione tra alta inflazione e sistema fiscale progressivo, ha drenato 25 miliardi di extratasse dalle tasche dei lavoratori. E li rivuole indietro. Il punto è, come scriviamo da mesi, che il fiscal drag è stato già restituito soprattutto ai redditi medio-bassi attraverso il taglio del cuneo fiscale (riforma dell’Irpef e decontribuzione). Ma Landini continua a ripetere il solito mantra. Ieri, per la prima volta, si è ritrovato un intervistatore – Simone Spetia su Radio 24 – che gli ha replicato con lo studio della Bce di cui dava conto il Foglio secondo cui in Italia il fiscal drag è stato più che compensato: i lavoratori hanno cioè ricevuto, via sconti fiscali, più di quanto gli è stato sottratto subdolamente con il drenaggio fiscale. “Questa è una bugia”, è la risposta di Landini. “Non è vero, conti alla mano siamo pronti a fare qualsiasi discussione”.


In attesa di vedere un confronto, magari in un talk-show, tra Landini e Christine Lagarde sul drenaggio fiscale, c’è da precisare che lo studio della Bce è su oltre 20 paesi e vede coinvolte tutte le banche centrali nazionali, inclusa la Banca d’Italia, che hanno fatto i conti sulla base di statistiche ufficiali e di  una metodologia comune. A meno di non voler accusare tutto l’Eurosistema di cortigianeria nei confronti di Giorgia Meloni, è difficile ipotizzare che dicano “bugie” o che facciano i conti peggio del centro studi della Cgil. Anche perché le conclusioni generali  della Bce  sulla redistribuzione delle entrate del fiscal drag trovano conferma in analisi indipendenti, e fatte con metodologie diverse, dall’Upb e dall’Inps. 


La verità è che Landini per poter alimentare la “rivolta sociale” fa negazionismo economico (su come questo atteggiamento inquini il dibattito democratico scrissero anni fa un bel libro gli economisti Pierre Cahuc e André Zylberberg). Non si tratta di una novità. E’ lo stesso approccio che ha guidato l’azione della Cgil negli ultimi anni, con la convocazione di quattro scioperi generali consecutivi contro le leggi di Bilancio (una del governo Draghi e tre del governo Meloni), esclusi gli altri scioperi generali per cause differenti. E questo è accaduto nel quadriennio in cui è esplosa l’occupazione: oltre 2 milioni in più di occupati rispetto al 2020 nella fase più critica della crisi pandemica  (un milione in più rispetto al 2019 pre Covid), di cui la gran parte a tempo indeterminato. Anche in questo caso, Landini ha deciso di ignorare la realtà descrivendo – al contrario di quello che mensilmente mostravano i dati dell’Istat – un’esplosione della precarietà, un aumento del lavoro part-time e addirittura una riduzione delle ore lavorate. E sulla base di questa falsa narrazione la Cgil ha organizzato un referendum sul lavoro, il cui obiettivo era abrogare leggi come il Jobs Act accusate di far aumentare la precarietà. L’esito lo conosciamo: un fallimento, sebbene gli organizzatori l’abbiano definito un successo, incluso il Pd che si è accodato deciso ad abolire le leggi che aveva approvato quando era al governo.

   Il negazionismo economico è un problema serio per un’organizzazione sindacale e politica, perché porta a prendere decisioni e iniziative fondate su un’errata percezione della realtà. E’ come muoversi con la bussola rotta o le mappe non aggiornate. L’errata descrizione del mercato del lavoro ha portato al fallimento del referendum e l’errata definizione del fiscal drag impedisce di comprendere come mai il governo Meloni abbia consensi così elevati. 

I dati del rapporto annuale dell’Inps, che coincidono con l’analisi della Bce sul fiscal drag, mostrano che l’andamento delle retribuzioni nette è stato molto diverso da quello delle retribuzioni lorde. Per via delle misure fiscali del governo, il salario netto dei lavoratori è aumentato molto più del lordo: per i primi decimi della distribuzione (i più poveri) fino alla mediana, le retribuzioni nette sono cresciute più del doppio rispetto alle retribuzioni lorde, a differenza di quanto è accaduto per le retribuzioni medio-alte che vedono un sostanziale allineamento delle variazioni nette e lorde. In pratica, il governo Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in un contesto di consolidamento fiscale, hanno aumentato la progressività dell’Irpef attuando una politica di redistribuzione a favore dei redditi medio-bassi per proteggerli dall’inflazione. Il governo ha aumentato le tasse sul ceto medio-alto attraverso il fiscal drag e poi ha redistribuito quel gettito a favore dei più poveri, compensando con il fisco oltre al fiscal drag anche buona parte della perdita di potere d’acquisto dei salari che i sindacati non sono ancora riusciti a recuperare attraverso la contrattazione collettiva.

 La politica fiscale progressista ha preservato gran parte dei lavoratori dall’inflazione e l’aumento dell’occupazione ha aggiunto in molti nuclei un percettore di reddito, provocando un aumento del reddito familiare. E’ questo il segreto del sorprendente consenso, dopo oltre tre anni di governo, a favore di Giorgia Meloni.
 
Ma Landini non può ammainare la bandiera della rivolta sociale che sventola da anni. Ormai è prigioniero della sua retorica e del suo negazionismo. E’ costretto a proclamare l’ennesimo sciopero generale e così sarà, molto probabilmente, anche l’anno prossimo raggiungendo un record nella storia della Repubblica: la prima legislatura con cinque scioperi generali di fila della Cgil. E’ un percorso obbligato perché Landini sente la competizione alla sua sinistra di sigle antagoniste come i Cobas o come l’Usb, che ha già proclamato lo sciopero per il 28 novembre, che contendono alla Cgil la guida dei movimenti sociali e della piazza. 

C’è chi però ha fatto un passo di lato. Dopo un rapporto simbiotico, o da gregario secondo i critici, negli anni passati, la Uil di Pierpaolo Bombardieri si è sfilata lentamente prima dal referendum, poi dagli scioperi Pro pal e ora dallo sciopero automatico contro la legge di Bilancio. Vedendo davanti a sé un binario morto, la Uil cerca di riconquistare una sua autonomia nei rapporti con il governo e le controparti come Confindustria e Confcommercio. Chissà se prima o poi il Pd, finora schiacciato sulla Cgil,  farà considerazioni analoghe: per ora Elly Schlein prosegue testardamente il suo viaggio a bordo della locomotiva guidata da Landini.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali