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i conti del governo
Manovra rischiosa. Il vero coraggio è lasciare le banche ricche e solide
Il governo chiede 4,4 miliardi al sistema bancario, su cui soffiano venti di crisi dall'America
Dalle banche italiane il ministro Giancarlo Giorgetti ha detto di aspettarsi “uno sforzo di sistema”: la situazione non deve essere “drammatizzata”, dice. Peccato che nel giorno in cui il Consiglio dei ministri ha approvato la manovra economica che conta su 4,4 miliardi di contributi da banche e assicurazioni i venti di una nuova crisi finanziaria americana hanno generato uno scossone talmente forte ai titoli del credito da buttare giù tutti gli indici delle principali borse europee.
“Il vero coraggio di un governo sarebbe lasciare che le banche diventino sempre più ricche e solide per essere capaci di assorbire gli effetti tellurici di crisi di sistema che prima o poi arrivano”, dice al Foglio Stefano Gatti, professore di Finanza all’Università Bocconi.
“L’esperienza – continua Gatti – ci insegna che dalla regione asiatica arriva spesso l’influenza e da quella atlantica i sussulti finanziari. Alla fine il rischio di un contagio c’è sempre”. Eppure, esigenze di bilancio pubblico hanno spinto il governo Meloni per ben tre volte a bussare alla porta delle banche. La prima, nel 2023, ha ottenuto zero. La seconda, nel 2024, ha ottenuto prestito con il rinvio dei crediti fiscali. La terza volta, quest’anno, punta a incassare soldi veri attraverso un mix di misure, tra le quali l’aumento di 2 punti percentuali dell’Irap e, soprattutto, un prelievo del 27,5 per cento sulla distribuzione ai soci delle riserve di utili accantonate nel 2023. “Vediamo come risponderanno gli istituti di credito a questa richiesta – riflette Angelo Baglioni, ordinario di finanza all’Università Cattolica, dove dirige l’osservatorio monetario – In teoria, viene lasciata libertà di scelta alle banche, il che rende incerto il raggiungimento dei 4,4 miliardi di incassi previsti per il 2026 dal Documento programmatico di bilancio. Esiste la possibilità che la Commissione europea abbia qualcosa da eccepire su questa posta di bilancio che appare un po’ aleatoria”.
D’altronde, sarebbe quantomeno imbarazzante per le banche dare forfait al governo Meloni quando il loro “sforzo di sistema” è legato a destinare più fondi a settori come la sanità. Insomma, i cosiddetti “extraprofitti” servono per bilanciare la politica fiscale del governo a spese del settore creditizio che di fatto subisce una doppia tassazione. Sulla riserva di capitale da oltre 6 miliardi accantonata dal sistema bancario nel 2023 verrà applicato un prelievo fiscale del 27,5 per cento e non del 40 per cento, come stabilito due anni fa, per incentivarne la distribuzione ai soci e il conseguente incasso di gettito per lo stato. Ma questa riserva è costituita da utili che sono stati già tassati a suo tempo. “E’ una misura retroattiva che colpisce un settore specifico – prosegue Baglioni –. Posso comprendere il ragionamento politico che c’è dietro, ma sul piano tecnico vedo delle criticità: le aliquote fiscali dovrebbero essere fissate prima e non subire delle modifiche in corsa. Ci sono già stati casi in cui provvedimenti simili hanno creato problemi sul piano giuridico e costituzionale: basti ricordare la Robin hood tax (del ministro Tremonti, ndr) che puntava alla rendita energetica e petrolifera”.
Non è la prima volta che un governo tenta di “togliere ai ricchi per dare ai poveri” per avere dalla sua parte anche una narrazione vendibile al proprio elettorato. Ma i rapporti non sono mai stati così tesi e controversi col sistema bancario. “In passato, ci sono state altre fasi in cui gli istituti di credito potevano vantare una certa solidità e ricchezza e i governi in quei frangenti si sono sempre limitati a chiedere di sottoscrivere più titoli del debito pubblico. Era questo il modo in cui veniva finanziata la politica di spesa pubblica. Insomma, il rapporto è sempre stato di reciproco appoggio. Oggi stiamo assistendo a qualcosa di diverso”. Intanto, ieri il settore bancario ha perso in Borsa il 2,2 per cento per un effetto congiunto e della reazione degli investitori alle nuove tasse previste dalla manovra economica del panico che si è diffuso a livello europeo per le notizie americane di una crisi simile ai subprime. Sono preoccupazioni fondate? “Non sottovaluterei – dice Gatti – le ripercussioni del crac di un gruppo come lo statunitense First Brands, che vende componenti per auto. Sta emergendo un debito da 12 miliardi di dollari che vuol dire una pari esposizione verso banche e altri prestatori privati. Sono i primi segnali di crisi di un modello, quello del private debt, che non sappiamo quanto sia radicato anche in Europa”. Insomma, non poteva esserci momento peggiore in Italia per colpire il settore bancario. “C’è molta preoccupazione sui mercati, ma credo che il rischio di un contagio globale verrà arginato in modo tempestivo dagli Stati Uniti come del resto è successo con la crisi delle banche della Silicon Valley a marzo 2023”, conclude Gatti.