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il bilancio

Giavazzi e Tabellini spiegano chi, in Europa, ostacola il piano Draghi

Dario Di Vico

L’innovazione tecnologica, l’energia, le regole per le fusioni aziendali e un nuovo stato per agevolare le start up. Ecco le priorità da cui si potrebbe partire per evitare di affogare nell’ampiezza delle analisi del rapporto dell'ex premier

Siamo al primo compleanno del rapporto Draghi per il rilancio della Ue e forse non c’è motivo per festeggiare. La Commissione di Bruxelles sostiene che sono state implementate il 10 per cento delle (tante) misure suggerite, ma sicuramente si sono palesate resistenze e diffidenze. E proprio per individuare la cause di questi ritardi la Bocconi ha avuto l’idea di ospitare un confronto pubblico con Francesco Giavazzi e Guido Tabellini. Per evitare di affogare nell’ampiezza delle analisi e delle raccomandazioni del Rapporto, Giavazzi ha individuato alcune priorità indicate da Draghi. Al primo posto l’innovazione tecnologica, il motivo per cui noi europei abbiamo perso circa il 25 per cento di produttività. La seconda è l’energia terreno nel quale “ci siamo rivelati incapaci di tagliare le rendite”. Al terzo posto le regole per le fusioni aziendali. Lungo tutto il suo corso l’ex commissaria europea Margrethe Vestager ha sempre sostenuto che le aziende europee dovessero essere in concorrenza, anche a costo di restare più piccole.

 

E il caso-scuola è quello di Siemens-Alstom, concentrazione che fu vietata perché avrebbe generato una sorta di monopolio sul mercato interno. Il risultato è stato che i veri concorrenti, i cinesi, sono cresciuti nel frattempo e le due aziende europee sono rimaste della stessa taglia. Al limite dell’euro-masochismo. La quarta priorità individuata da Giavazzi - che ha collaborato strettamente con Mario Draghi alla stesura del documento - è la creazione del ventottesimo stato della Ue per permettere alle start up di evitare l’alternativa di morire o trasferirsi negli Usa. Le nuove aziende non possono sopportare i costi legali e amministrativi di registrarsi in 27 Paesi con differenti legislazioni, e quindi la creazione artificiale di un ventottesimo stato, un Delaware europeo, con regole uniche e applicabili negli altri 27 sarebbe di sicuro giovamento.

 

Ebbene su queste quattro priorità solo quella del ventottesimo stato ha fatto in questo anno dei passi in avanti, il provvedimento infatti è stato approvato dalla Commissione e adesso è all’esame del Parlamento. Per le altre questioni non si è fatto nulla. Ha raccontato Giavazzi: “Sulle regole antitrust la commissaria spagnola Ribera ha chiesto di fornirle un piano per nuove regole nei merger ma si è trovata davanti le resistenze della direzione generale per la Concorrenza, per niente intenzionata a ridurre le sue prerogative. E’ solo un esempio ma può essere usato come un paradigma delle difficoltà affrontate dal Rapporto nel suo primo anno di vita”. Secondo Tabellini le vere resistenze vengono più dagli stati membri che dalla Commissione. E per superarle “ci vuole un’integrazione politica più accentuata”. Come un tempo sostenere la creazione della Bce “era come evocare un sogno”, e però i leader della Ue lo seppero fare, ora si è smesso di sognare.

 

“E di un’integrazione più spinta si è smesso di parlare”. Ma senza gettare sulla bilancia il pensiero delle élite europeiste non si producono gli avanzamenti necessari, “è difficile che sia gli stati che la Commissione trovino stimoli”. Anche perché la Commissione, presieduta da Ursula Von der Leyen, “non essendo eletta direttamente non è forte, spesso i governi scelgono alla testa di Bruxelles una personalità che non dia loro ombra”. A sostegno della sua tesi Tabellini ha ricordato come l’opinione pubblica europea non sia ostile ad avanzamenti nell’integrazione visto che l’80 per cento li richiede per la politica estera e della difesa. Nel 2010 i sondaggi erano decisamente più bassi, al 60 per cento. “Ci sono dunque le condizioni democratiche per chiedere ai leader europei di essere sognatori”. All’obiezione di Giavazzi, secondo la quale i cittadini europei votano per lo più partiti nazionalisti, Tabellini ha risposto che gli europei sono scettici anche perché vedono poca partecipazione: “Preferirebbero votare direttamente il presidente della Commissione”.

 

Replicando Giavazzi ha ammesso che un errore del Rapporto è stato quello di non alzare la posta e non chiedere una svolta politica. “La domanda però è se siamo pronti. Ricordo che Giscard d’Estaing con Giuliano Amato scrissero un bel progetto di riforma del Trattati, che poi fu sottoposto a un referendum nazionale e bocciato. Ed è mortà lì”. Non si può rischiare di interrompere il percorso indicato dal Rapporto tutto in un colpo con un referendum avverso. Per questo motivo Giavazzi ha indicato come metodo preferibile quello delle cooperazioni rafforzate, adottato per l’Euro (Gran Bretagna e Danimarca rimasero fuori) e che potrebbe essere riproposto oggi per le politiche della difesa. “Le cooperazioni rafforzate però non cambiano le istituzioni politiche” ha chiosato Tabellini.