(foto Ansa)

extraprofitti che?

Le capriole di Meloni per non assecondare gli istinti anti bancari di mezzo governo

Mariarosaria Marchesano

Tutto quello che non torna nella scazzottata di governo sulle banche, con le divisioni tra Forza Italia (che difende gli istituti di credito), la Lega (che vuole tassarli) e la premier che cerca di mediare. Oggi il Cdm

Il livello dello scontro tra governo e banche sul contributo alla manovra è salito alle stelle alla vigilia del Consiglio dei ministri in programma stamattina. Un vertice di maggioranza convocato in tutta fretta nella serata di ieri ha cercato di arrivare a una sintesi delle opposte posizioni di  Forza Italia,  contraria all’introduzione di una tassa sugli extraprofitti  (roba da Unione sovietica secondo  Antonio Tajani), e della Lega di Matteo Salvini che non ha perso occasione per ribadirne, invece, la necessità. In mezzo c’è Giorgia Meloni, che capendo quanto delicata sia la vicenda avrebbe deciso, secondo quanto risulta al Foglio, di seguire in prima persona gli sviluppi anche attraverso colloqui diretti con i vertici dei maggiori istituti bancari.

 

Non è mai accaduto che il clima tra Palazzo Chigi e gli operatori finanziari diventasse così incandescente. Del resto, non era mai accaduto che le banche macinassero 112 miliardi di euro di utili in quattro anni grazie anche alla  politica monetaria della Bce che, nella visione di questo governo, ha gonfiato di ricchezza i loro bilanci e per questo è giusto che adesso “diano una mano” (Meloni dixit). Almeno tre o quattro governi che hanno preceduto l’attuale hanno dovuto salvare le banche dai crac mettendoci dei soldi pubblici (lo ha fatto per un pezzo anche questo esecutivo con Mps) e, comunque, non potevano neanche lontanamente sperare che questi soggetti potessero essere utilizzati come un bancomat per finanziare il sistema sanitario o il taglio dell’Irpef, in pratica per sostenere la politica di bilancio. Nel documento programmatico per il 2026, che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti ha inviato a Bruxelles prima di partire per Washington e partecipare ad alcuni meeting internazionali, ammonta a 4,4 miliardi la copertura che deriverà da misure a carico del settore finanziario e assicurativo. Si tratta dello 0,19 per cento del pil, percentuale che verrà replicato nel 2027 e che poi nel 2028 scenderà allo 0,1 per cento. In tutto, nei tre anni di programmazione, la cifra complessiva arriva dunque a superare 11 miliardi di euro. Dunque, non si tratta di un contributo “una tantum” ma più elevato del previsto sebbene spalmato in tre anni. Questi numeri sono stati inseriti nella bozza di manovra, che ovviamente può essere oggetto di variazioni fino a quando verrà approvata, senza che risulti sia stato  ancora raggiunto un accordo definitivo sulle modalità con cui questi soldi dovranno essere versati. In campo a trattare per le banche c’è da settimane l’Abi, l’associazione presieduta da Antonio Patuelli e diretta da Elio Rottigni. Ma è possibile che nelle ultime ore siano stati avviati canali paralleli da Palazzo Chigi con gli istituti di credito che dovranno sopportare il peso maggiore del prelievo. Intanto, le assicurazioni sono rientrate tra i soggetti a cui chiedere un contributo alla manovra quando si è capito che serviva allargare il bacino di raccolta per arrivare, se non a 5 miliardi come richiesto dalla Lega, almeno ai 4,4 miliardi poi iscritti nel Dpb. Il negoziato si è rivelato molto complesso sia per le difficoltà tecniche a trovare una soluzione che non fosse una nuova tassa, che Forza Italia ha già dichiarato che “non voterà mai”, sia perché via via che le trattative sono andate avanti l’asticella è stata alzata da Palazzo Chigi per far quadrare i conti della manovra. Di fatto, le banche hanno accettato di prorogare il rinvio dei crediti fiscali, misura che vale circa 3 miliardi, ma hanno respinto in toto l’ipotesi di tassare la riserva degli extraprofitti del 2023, da cui sarebbero i 2 miliardi aggiuntivi che il governo ha chiesto. Così è possibile che la differenza, almeno in buona parte, ce la mettano le assicurazioni, attraverso formule ancora da definire. Al di là degli aspetti tecnici, che in questo caso non sono neanche di secondo piano perché si sta parlando di aziende quotate in Borsa, vigilate dalla Bce e soggette a normative stringenti, quello che si sta facendo largo nelle ultime ore è il tentativo della premier di tirare le fila raggiungendo l’obiettivo ma evitando di arrivare ai ferri corti con il sistema bancario e assicurativo con il quale il rapporto è già abbastanza controverso.

Di più su questi argomenti: