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L'analisi
Semplificare in Europa è un'utopia. Regole sballate e strategie perdenti
Sarebbe da preferire un cambio di approccio teso non tanto a inseguire i piani commerciali abilitati, quanto piuttosto a concentrarsi su pochi principi chiari per costruire un ecosistema digitale a cui rivolgersi con fiducia
Da quando l’Europa ha annunciato un cambio di strategia sul fronte regolatorio qualche timido passo in avanti è stato compiuto, ma siamo ancora lontani dall’aver semplificato. Con la Dichiarazione di Budapest e la Bussola per la competitività, con la sua agenda di numerosissime iniziative regolatorie (ben 50), la Commissione europea si è impegnata a ridurre gli oneri di compliance del 25% per tutte le imprese e del 35% per le PMI, con un risparmio stimato di 37,5 miliardi di euro l’anno. Anche la nuova Strategia per il Mercato Unico punta a ridurre la burocrazia attraverso la creazione di uno spazio condiviso da 450 milioni di persone e 26 milioni di imprese. E in questa scia si pongono i Pacchetti Omnibus, che prospettano azioni per semplificare il quadro regolatorio.
Ma nel passare dall’annuncio all’azione, l’Europa sembra abbandonare la strada del “whatever it takes”, lanciando un profluvio di consultazioni, valutazioni di impatto e richieste di evidenze per definire le scelte di metodo e merito che plasmeranno la nuova cornice normativa. Come se i Rapporti Draghi e Letta non fossero stati sufficienti ad indicare la via, regolamenti, direttive e comunicazioni vengono sottoposte “a pioggia” ad esercizi di consultazione pubblica: dai nuovi e semplificati principi contabili sul reporting di sostenibilità al regime del 28esimo Stato, dal sistema CBAM alla revisione della supervisione sui mercati dei capitali e a molte altre iniziative sulla “Saving and Investment Union”, dagli orientamenti sulle concentrazioni alle regole di procedura sull’enforcement antitrust, dalle regole sugli appalti pubblici alla disciplina sugli aiuti di stato e persino alle regole in materia di innovazione, trasferimenti di tecnologia, IA, dati, mercati e servizi digitali. In questo momento sono decine le consultazioni in corso e a quasi un anno dall’insediamento della nuova Commissione nessun provvedimento è stato chiuso e varato. Insomma, sed Bruxelles consulitur, Saguntum expugnatur.
La nuova ondata consultiva investe dossier fondamentali: il green deal e i pacchetti pro-sostenibilità come la CSRD e la CSDD, la Capital Market Union, la strategia sui dati e i diritti digitali. In quest’ultimo contesto, la Commissione non resiste alla tentazione di prospettare un nuovo strumento, il Digital Fairness Act per intercettare pratiche online ora manipolative ora opache ora aggressive ora ingannevoli (come i dark patterns, le interfacce e i design che creano dipendenza, o talune pratiche di personalizzazione dei prezzi e di marketing aggressive), perché allo stato sembrano poter sfuggire alle maglie regolatorie recentemente introdotte (Digital Service Act, AI Act, GDPR e pacchetto di direttive consumatori). E così per sciogliere i dubbi sulla tecnica legislativa da prediligere, la Commissione affida ad una consultazione, appunto, le due principali opzioni sul tavolo: nuove previsioni vincolanti estremamente dettagliate e sterzata verso l’armonizzazione massima delle regole o semplificazione normativa e alleggerimento della cornice regolatoria. Quale che sia la strada che verrà imboccata, la Commissione promette che la proposta legislativa sarà “di sostanza, non di velocità”, e non arriverà prima del terzo trimestre del 2026. Verrebbe da chiosare che errare è umano ma perseverare…
L’UE, infatti, già dispone di un rigoroso sistema di tutela ed enforcement, che si applica orizzontalmente alle imprese, indipendentemente da settore, dimensione e attività. Sarebbe da preferire un cambio di approccio teso non tanto ad inseguire le strategie commerciali abilitate o facilitate dalle nuove tecnologie (che comunque sono più veloci e sempre abili nel trovare qualche escamotage) attraverso l’ennesima regolazione di dettaglio e verticale su qualunque servizio digitale, quanto piuttosto a concentrarsi su poche regole chiare, incentrate su trasparenza e correttezza, che sono e rimangono i principi cardine per costruire un ecosistema digitale (sicuro ed affidabile) a cui rivolgersi con fiducia.
Occorre cioè rafforzare l’effettività dei principi generali dell’ordinamento europeo, garantirne un’applicazione coerente e per questa via incidere, attraverso la c.d. tecno-regulation, e modificare nella direzione del rispetto della fairness i modelli di business della data economy, obbligandoli ad essere – senza sconti e mezzi termini compliant by design. In sintesi, più che prospettare un nuovo complicato pacchetto con norme di dettaglio come il Digital Fairness Act, si tratta di intervenire sulle regole che insistono sulla cooperazione tra autorità, così da assicurare un enforcement efficace e da superare le criticità già segnalate dalla stessa Commissione in termini di disparità di risorse e capacità tra le autorità degli Stati membri. E di qui proseguire il rinnovamento all’insegna di una semplificazione di sostanza e non di facciata, che, senza rinunciare all’effettività del diritto, eviti le duplicazioni e abbatta gli oneri superflui per le imprese.

Titubanze europee