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Il Pnrr
Pnrr: addio industria. Il governo sta riciclando i fondi per la manovra lasciando le imprese a mani vuote
Risorse per 10 miliardi per imprese & Co cancellate e dirottate su progetti già finanziati o conclusi: così i fondi del Pnrr - la principale fonte di crescita negli ultimi anni - saranno usati per coprire la manovra finanziaria
La revisione del Pnrr è in ritardo. Mancano pochi mesi alla scadenza del 2026, e la revisione ufficiale non c’è ancora. Per capire il motivo, bisogna sapere che non si tratta solo di ritardi burocratici o di trattative con Bruxelles. Il punto vero è che non è più possibile utilizzare i fondi rimasti per spendere davvero: si possono però utilizzare – e qui sta il trucco – per fare la legge di Bilancio.
Qualche mese fa il Foglio aveva già dato conto che la speranza per salvare almeno una parte delle risorse in scadenza era quella di metterli in fondi finanziari che permettessero di utilizzarli nei tre anni successivi, come ha fatto la Spagna. Sarebbe stato un modo ordinato per salvare i progetti in ritardo, e per spalmare la spesa nel tempo. Ma ciò è stato fatto solo in minima parte, per pochissimi interventi.
La realtà è un’altra: il grosso dei progetti in ritardo – circa dieci miliardi – è stato semplicemente cancellato. E le risorse sono state “dirottate” su progetti già esistenti, spesso già finanziati e già conclusi. È successo, per esempio, con Industria 5.0: i fondi non sono stati destinati a nuovi interventi, ma spostati su Industria 4.0 – non su nuovi progetti, ma su spese già fatte. Così quei soldi “liberati” diventano risorse fresche per la legge di bilancio.
Ecco svelato perché la revisione tarda così tanto: si tratta di costruire una complessa partita di giro contabile. Invece di restituire i fondi non spesi – come ha fatto la Repubblica Ceca – o di dirottarli su progetti strategici come la difesa – come ha fatto la Polonia – in Italia si preferisce spostarli su programmi già chiusi, per poi riutilizzarli altrove. Il risultato è che formalmente “si recuperano” i soldi non spesi, ma nella sostanza quei fondi vengono tagliati e magicamente trasformati in margini per il Bilancio.
Tutto bene, allora? Non proprio. Basta leggere tra le righe per capire che quando verrà annunciato che “sono stati recuperati i fondi di Industria 5.0, del Gol (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori), del turismo o delle comunità energetiche”, in realtà si tratterà di progetti cancellati e di risorse rese disponibili per coprire voci della legge di bilancio.
Confindustria, dopo aver perso in questi anni 15 miliardi tra Ace (la norma che da quasi un decennio premiava la ricapitalizzazione delle aziende), decontribuzione Sud e fondi per l’automotive, e dopo aver ricevuto la promessa del governo di 25 miliardi per compensare i dazi americani, deve sapere che anche i fondi di Industria 5.0 non torneranno alla politica industriale. Serviranno, invece, a finanziare la manovra. Quindi, per 4 miliardi di risorse cancellate nel Pnrr dovrebbero pretenderne altrettante in legge di bilancio. Non deve finire come nella prima legge di bilancio del governo Meloni, quella del 2022 per il 2023, in cui non c’era nulla per le imprese. C’era solo la promessa di finanziare le imprese con il Pnrr, il che infatti è avvenuto pochi mesi dopo togliendo 6 miliardi ai comuni per finanziare Industria 5.0. Quella revisione del Pnrr nell’estate del 2023 fu un fallimento e il flop di Industria 5.0 non può ripetersi ora che l’Italia subisce un calo pressoché continuo della produzione industriale da quasi 3 anni (e che ora va peggio del previsto, come già scritto da Di Vico sul Foglio), oltre alla crisi conclamata, e assai mal gestita, di Ilva e Stellantis.
E se finalmente si è preso atto – come era ovvio nei numeri ma non nella narrazione pubblica – che la crescita italiana degli ultimi periodi è dovuta quasi interamente alla spesa Pnrr (circa 30-40 miliardi l’anno), allora è evidente che se quei 10 miliardi vengono spostati da progetti futuri a spese già fatte, si cancellano di fatto 10 miliardi di crescita potenziale. Se quei soldi verranno utilizzati in legge di bilancio per finanziare per esempio la rottamazione delle cartelle o il blocco dell’adeguamento delle pensioni, potremmo dire di aver attivamente contribuito a ridurre la crescita.
Nell’ultima revisione del Pnrr hanno perso risorse il ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), quello dell’Ambiente, del Turismo e del Lavoro. L’unico che ci guadagna è – tanto per cambiare – il ministero dell’Agricoltura, non per i meriti del ministro ma per il peso di Coldiretti.
Così si chiude, nel silenzio generale, l’ultima fase del Pnrr: da grande piano di investimenti a ingegnoso espediente contabile per finanziare la manovra.