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L'analisi

La new Assolombarda asseconda la deriva di Milano capitale dei poteri deboli

Dario Di Vico

L'agenda dell'associazione non può essere sostanzialmente monotematica perché i problemi sono tanti: dai dazi alla manovra di bilancio. Ma il tema più importante è il confronto aspro che c'è nel capoluogo tra la magistratura e l'imprenditoria

Quando si tratta del debutto di un nuovo presidente anche le assemblee confindustriali si caricano di maggiori aspettative. Il ricambio che l’associazione riesce ad assicurare al suo vertice (a differenza di altri corpi intermedi che hanno adottato una governance nord-coreana) promette quasi sempre un aggiornamento delle analisi, un’individuazione di nuove priorità e in definitiva un mordente ancora del tutto integro e non piegato dalla routine. Ieri è stata l’occasione di Assolombarda, la più grande territoriale di Confindustria, e del neo-presidente Alvise Biffi. Non staremo qui a ripetere il momento particolare che vive Milano, lo spaesamento dell’opinione pubblica, la confusa azione dei partiti e il travaglio dell’amministrazione comunale. Ma è questa la cornice nella quale si collocava l’assemblea ed erano quindi molte le risposte che la folta platea del teatro Dal Verme si attendeva.

  

La scelta fatta da Biffi è stata drastica. Ha individuato come asse della sua prolusione l’avanzata dell’intelligenza artificiale e non ha derogato. Per carità è difficilissimo criticare chi per Milano, città dei tanti grattacieli e dei pochi unicorni, propone come via maestra l’innovazione e si appassiona alla data driven economy. E chi, come Biffi, implicitamente dà il suo appoggio a MilanoSapere versus MilanoMattone. Il neo-presidente ha anche chiamato le Pmi a innovare se vogliono sopravvivere e ha giustamente posto all'attenzione dei suoi associati gli incrementi della produttività, come leva vuoi per essere più competitivi vuoi per alzare i salari. Fin qui applausi, dunque.

 

Ma, ed è questa l’obiezione sollevata da diversi osservatori, l’agenda di Assolombarda non può essere sostanzialmente monotematica. Ad esempio non si può saltare a pie’ pari il tema dei dazi confidando che il posizionamento “alto di gamma” del made in Italy li renda ininfluenti agli occhi del consumatore americano. Perché non è affatto detto che sia così. Così come non si può omettere il grave errore di miopia che il governo sta compiendo nella manovra di bilancio sacrificando quasi totalmente le esigenze della crescita. Non amiamo le rivolte ma è singolare che l’assemblea degli industriali di Milano si sia chiusa senza il minimo segnale di insofferenza nei confronti di un esecutivo che sta palesemente menando il can per l’aia davanti alle richieste confindustriali. Dieci giorni fa a Gambellara i veneti almeno qualche segnale l’avevano dato.

 

L’obiezione ancor più condivisibile riguarda però un altro tema: il confronto aspro che c’è a Milano tra la magistratura e l’imprenditoria. I giudizi che si leggono negli atti dei Pm ambrosiani nei confronti dei protagonisti del business immobiliare e dei capi-filiera della moda sono durissimi. Concedono sicuramente molto a un pregiudizio nei confronti dell’industria e sono moraleggianti ma non possono essere ignorati. Non ci si può fare sordi per convenienza. La rappresentanza degli industriali deve dire cosa pensa, non le si chiede di generare ulteriori conflitti fini a sé stessi ma reimpostare il confronto partendo da basi, anche nuove, quello sì. L’immagine di Milano è legata anche alla fiducia del consumatore internazionale nei confronti dei suoi prodotti, non solo al numero di eventi pigiati in cartellone.

 

Purtroppo l’atteggiamento deludente di Assolombarda rispecchia più in generale quello delle élite milanesi che di fronte alla complessa transizione che la città attraversa sceglie di stare a guardare. Di divertirsi nel pettegolare sui candidati dell’uno o dell’altro schieramento per il dopo-Sala e di fatto nel rimandare tutto alle amministrative del 2027. Ma l’ultimo affronto per Milano è quello di farla diventare la capitale dei poteri deboli.

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