
Giancarlo Giorgetti con Adolfo Urso (foto LaPresse)
Il fondo per le Pmi è un successo, ma il Mef vuole ridimensionarlo
Nella serie di emendamenti annuali al Fondo di Garanzia previsti nella scorsa legge di bilancio, il Mef ne introdusse uno per il 2026: un innalzamento di quanto le banche debbano assorbire del proprio patrimonio, se vogliono concedere prestiti a garanzia pubblica. Una misura che porterebbe a minor credito alle imprese, e a maggior selettività dei progetti da finanziare
Vedremo se e come la prossima legge di bilancio in arrivo darà ascolto alle richieste delle imprese in materia di agevolazione degli investimenti, visto che tutti i principali strumenti in essere sono in scadenza a fine 2025. Il flop di Industria 5.0 insegna che occorre il più possibile concentrare le risorse in un unico strumento di agevolazione, non annuale ma pluriennale, con procedure il più possibile automatiche e di facile attuazione da parte delle imprese.
Intanto, un altro strumento di credito agevolato rischia da gennaio 2026 un giro di vite. Ed è opportuna una riflessione specifica, che motivi le ragioni per cui tale stretta sia inopportuna. Parliamo del Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese. In essere dal 2000, il fondo è gestito dal MedioCredito Centrale con il fine di facilitare l’accesso al credito per micro imprese, PMI e professionisti. In pratica, lo stato copre una parte dei rischi sui prestiti bancari, permettendo di ottenere finanziamenti senza dover offrire garanzie reali. In base alle regole emendate un anno fa, le garanzie sono fino all’80 per cento su prestiti per investimenti in imprese mature, start up, nuove imprese innovative e microcredito. Poi fino al 50 per cento per prestiti a breve termine di liquidità, indipendentemente dal rating d’impresa. Il tetto massimo garantito per singola impresa è fino a 5 milioni di euro, e i prestiti minori (fino a 40-50 mila, o fino a 100 mila € se garantiti da un confidi autorizzato) possono ottenere garanzie fino all’80 per cento.
Il Fondo interviene in forma diretta attraverso la garanzia della percentuale del prestito sopra detta, oppure indirettamente, controgarantendo un confidi attivo sul prestito primario. L’anno scorso si estese il Fondo alle midcap sotto i 500 dipendenti e al microcredito. Si decise anche per la garanzia fino al 50 per cento dei prestiti a breve termine, senza ricorrere alle 5 griglie di valutazione del rischio d’impresa che continuano invece a valere per la concessione delle altre tipologie di garanzia pubblica. Come si vede dalle condizionalità, non stiamo parlando dell’ondata di garanzia pubbliche a imprese di tutti i tipi concesse nel covid, e che finirono per beneficare anche decine di migliaia di imprese zombie, a prescindere dalla loro sostenibilità. E di cui fu giustamente avviato il graduale rientro.
Il Fondo funziona? I numeri dicono di sì. Se guardiamo agli ultimi anni, nel 2023 furono presentate 235 mila domande e nel 2024 228 mila, per prestiti finanziati nel 2023 pari a 46 miliardi di euro, e nel 2024 per 42 miliardi. Nel 2023 la garanzia pubblica coprì 34,7 miliardi su 46 erogati, nel 2024 29,9 miliardi su 42 erogati. In questo 2025 le percentuali son tornate a salire: tra gennaio e giugno le domande sono state 130mila, di cui 128 mila quelle accolte, con un +14 per cento rispetto al 2024. L’erogato bancario è salito del 15 per cento sul 2024, a 23,7 miliardi nel semestre di cui 16,6 con garanzia pubblica. La ripartizionedelle domande vede imprese del Nord al 47 per cento, del Centro al 21 per cento, e del Sud al 31. Quanto ai settori, le imprese del commercio superano quelle della manifattura: il 41 per cento delle domande rispetto al 38%.
È Bankitalia a recensire dati e andamenti del Fondo di Garanzia. Anche degli insoluti, cioè la percentuale dei beneficiari che finisca in procedure concorsuali o in cessazione d’ìmpresa, casi in cui la garanzia dello stato diventa da potenziale a reale nei confronti delle banche che si trovino scoperte nel rientro del prestito. Ebbene la stima di via Nazionale è che tale percentuale sia inferiore a quella dei prestiti bancari ordinari: “Lo stato rischia tra l’1 e il 2 per cento nel massimo dei casi che la sua garanzia diventi escutibile da parte dei soggetti bancari”. È un dato fondamentale. Perché nella serie di emendamenti annuali al Fondo di Garanzia previsti nella scorsa legge di bilancio, il Mef ne introdusse uno per il 2026. E che prescrive appunto il giro di vite: un innalzamento di quanto le banche debbano assorbire del proprio patrimonio, se vogliono concedere prestiti a garanzia pubblica. È ovvio che tale misura porterebbe a minor credito alle imprese, e a maggior selettività dei progetti da finanziare da parte bancaria. Mentre i dati accumulati in vent’anni mostrano che l’accantonamento zero di patrimonio bancario in presenza di garanzie del Fondo ha avuto un effetto moltiplicatore più elevato di qualunque altra agevolazione al credito intanto varata. Dovrebbe essere chiaro perché questo giro di vite sia da evitare se si vuol rilanciare investimenti e crescita.