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Il Colloquio

Pil appeso ai consumi: altrimenti la crescita resta inferiore all'1 per cento

Davide Mattone

La sfiducia non fa spendere: “Meno tasse sul ceto medio”. Parla Mariano Bella (direttore dell'Ufficio studi Confcommercio)

La domanda interna dovrà essere il traino del pil. Lo dice il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp), che è la cornice con cui il ministero dell’Economia e delle Finanze predispone la manovra per il triennio 2026-2028 e presenta gli scenari macroeconomici per l’Italia. “Finalmente si individua nel gap tra reddito e consumo ciò che manca al pil per passare da una crescita dello zero virgola alla crescita dell’1 per cento” commenta al Foglio Mariano Bella, direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio.

Il governo evidenzia due forze opposte sull’economia italiana: da un lato i dazi americani e la frammentazione commerciale che frenano gli scambi e aumentano l’incertezza. Dall’altro, un ruolo centrale della domanda interna, con un ciclo monetario meno restrittivo che incentiva gli investimenti e i consumi. Non a caso, secondo il documento governativo, la domanda interna al netto delle scorte contribuisce alla crescita del pil reale di 1,0 punto nel 2025, mentre l’apporto della domanda estera netta è negativo e flette il pil di 0,7 punti nel 2025 e di 0,4 punti nel 2026. La crescita del pil sarà, secondo il Dpfp, dello 0,5 per cento quest’anno. Ma l’apporto della domanda interna continuerà a essere centrale per l’Italia. Secondo il Mef, il contributo sarà dello 1,1 per cento nel 2026, assestandosi poi a un contributo di 0,7 punti nel 2027 e nel 2028. Da notare anche che i prezzi al consumo mostrano in Ue e in Italia effetti deflazionistici a causa dei dazi: -0,1 per cento sui prezzi al consumo nel 2025, -0,4  nel 2026 e -0,2 nel 2027. 

I dati Istat pubblicati ieri sulle “Spese per consumi delle famiglie (anno 2024)” raccontano di un’Italia prudente: spesa media mensile pari a 2.755 euro, sostanzialmente stabile (+0,6 per cento) rispetto al 2023. “E’ un’indagine campionaria, serve di più per comprendere questioni di distribuzione del reddito e dei consumi che non per fare una valutazione macroeconomica”, commenta Mariano Bella. Per capire dunque come connettere i due piani – quadro macroeconomico e consumi delle famiglie – l’esperto di Confcommercio parte da un dato che è un campanello d’allarme: dalla metà del 2023 alla metà del 2025 il reddito disponibile per le famiglie è cresciuto più dei consumi. “Questa discrepanza si spiega con una sfiducia di fondo – nota Bella –. Nel secondo trimestre di quest’anno abbiamo raggiunto un picco di propensione al risparmio, sui massimi degli ultimi trent’anni, al 9,5 per cento”. Poi Bella continua: “Il reddito disponibile da lavoro, capitale e trasferimenti è in crescita e sta per toccare i massimi del 2007, con inflazione sotto controllo e occupazione ai massimi”. Eppure i consumi non decollano: “L’unica spiegazione per leggere il mancato contributo al pil da parte dei consumi è una sfiducia delle famiglie italiane”, aggiunge, citando uno studio della Bce che evidenzia in Italia il massimo scarto tra famiglie che sottostimano il proprio reddito effettivo e quelle che lo sovrastimano. “In altre parole, in Italia stiamo meglio di quello che percepiamo”, sottolinea Bella.


Il Mef scommette sulla domanda interna per i prossimi tre anni, tanto da auspicare tagli ai tassi di interesse nel Dpfp. Ciò che però emerge è chiaro: se i consumi non cresceranno almeno di pari passo al reddito reale, la variazione del pil rischia di avvicinarsi ulteriormente allo zero. Al momento il Dpfp prevede una crescita dello 0,7 per cento l’anno prossimo. Ma per il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, l’economia italiana ha i fondamentali positivi: “Se si rimette in moto la fiducia, anche attraverso una riflessione sulla pressione fiscale, gli altri ingranaggi potrebbero tornare a funzionare e la crescita potrebbe superare lo 0,5 per cento di quest’anno”. La legge di Bilancio è il veicolo con cui sbloccare il potenziale: “Per ora abbiamo il Dpfp, che fa da cornice – afferma Bella –. Mi aspetto, tra le altre cose, misure pro impresa, interventi a favore delle famiglie (deduzioni e detrazioni per i figli), e la riduzione della pressione fiscale”. Poi suggerisce: “Bisogna passare attraverso lo studio socioeconomico dei ceti e delle rispettive figure socio-reddituali: premiare il ceto medio può sbloccare la sfiducia. Auspico una riduzione del carico tributario sui redditi tra 28 e 50 mila euro, senza la neutralizzazione per i redditi più elevati che costerebbe tra 500 milioni e 1 miliardo”. 

Con minore sfiducia e meno pressione fiscale sul ceto medio, magari si ripristinerebbe il funzionamento degli altri elementi di base dell’economia, cercando di arrivare all’1 per cento e interrompendo la striscia di anni consecutivi senza toccarlo (il 2025 sarà il terzo).

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