
Foto EnergyDome
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La CO2 per lo stoccaggio dell'energia. Un'invenzione italiana
In Sardegna la prima grande batteria senza bisogno di metalli rari. Il problema della burocrazia e dei finanziamenti (a parte Google e Bill Gates)
Se vi dicessero che in Italia, penisola povera di materie prime, è stata inventata una forma di stoccaggio dell’energia che non richiede terre rare, litio o altri minerali ma solo la CO2, una delle sostanze più diffuse sul pianeta Terra, ci credereste? E’ la storia scritta da EnergyDome, scale-up italiana fondata nel 2020 e ormai arrivata a ricevere 140 milioni di euro di finanziamenti. Soldi arrivati anche da Google e Bill Gates, che risultano tra gli investitori. E’ proprio il gas serra responsabile del cambiamento climatico l’ingrediente chiave della ricetta di stoccaggio di EnergyDome, che ha brevettato una tecnologia proprietaria che ora punta a esportare in tutto il mondo.
Il processo è stato testato per la prima volta in Sardegna, a Ottana. Qui sorge ora una imponente tensostruttura gonfiabile ricoperta da un telo bianco visibile a decine di chilometri di distanza, che da lontano può confondersi con un campo da tennis. Avvicinandosi ci si rende però conto che le dimensioni – decine di metri di altezza e cinque ettari complessivi – sono eccessive per un’area sportiva in piena campagna. L’impianto di EnergyDome si trova nel centro del distretto energetico di Ottana, tra passato e presente: accanto si trovano sia l’ex centrale a olio combustibile spenta da anni che una distesa di pannelli fotovoltaici.
La cupola bianca contiene la CO2 allo stato gassoso. Quando nella rete elettrica c’è più energia di quanta ne serve – per esempio nei giorni soleggiati e ventosi – il gas viene compresso fino a diventare liquido: un processo che richiede un’elevata pressione e produce calore, a sua volta immagazzinato. Quando, al contrario, la domanda supera l’offerta di energia elettrica – per esempio la sera e nelle ore notturne – l’anidride carbonica viene ritrasformata allo stato gassoso grazie anche al calore prodotto in precedenza. Il gas, sempre sotto pressione, passa quindi attraverso una turbina generando elettricità, come in una tradizionale centrale termoelettrica. Questo è il funzionamento dell’enorme “batteria” alla CO2 inventata da Claudio Spadacini, co-fondatore e amministratore delegato della società. “L’idea è nata nel 2019, ero in treno tra Zurigo e Milano” dice al Foglio Spadacini, ingegnere meccanico con alle spalle esperienze nel biometano, geotermico e idroelettrico, “mi hanno ispirato gli estintori, che contengono CO2 compressa e la rilasciano trasformandola in gas e ghiaccio secco”.
L’accumulatore di EnergyDome utilizza solo acqua e CO2 e sfrutta i macchinari tradizionali dell’oil and gas conosciuti da tempo. A differenza delle batterie al litio – oggi la tecnologia più diffusa per lo stoccaggio – non necessita dell’estrazione metalli rari, immagazzina l’energia più a lungo permettendo di coprire l’intera fascia notturna e la sua efficienza non degrada col tempo. Grazie alla turbina, inoltre, l’impianto contribuisce all’inerzia della rete elettrica. Lo stoccaggio dell’energia è salito in cima alle priorità dei gestori delle reti elettriche, da quando le fonti rinnovabili non programmabili – il sole e il vento non ci sono sempre – hanno assunto un ruolo sempre maggiore.
La società sostiene che l’impianto di Ottana sia già redditizio, per un costo di stoccaggio di circa 120 euro a chilowattora. L’impianto è già in funzione da alcuni mesi, contrattualizzato da Engie. Ha una capacità di 20 megawatt e può essere ricaricato e scaricato in sole 20 ore. L’impianto è costato circa 36 milioni di euro ed è stato messo in piedi in un solo anno grazie ai finanziamenti della Banca Europea per gli Investimenti e del Breakthrough Energy Catalyst fondato da Bill Gates. Un nuovo investimento è stato annunciato anche da Google, alla continua ricerca di soluzioni per soddisfare la fame di elettricità dei propri datacenter per l’intelligenza artificiale. L’elettricità è il collo di bottiglia per l’AI: “Avere accesso sicuro e garantito a fonti di energia oggi è fondamentale: per questo il mercato statunitense per noi è un’opportunità enorme” dice Spadacini. Non a caso uno dei primi contratti per installare la super batteria è stato firmato con un’utility del Wisconsin, e altri progetti negli Usa saranno annunciati presto. La società ha già sottoscritto un secondo contratto in India, e presto annuncerà investimenti anche in Europa. I piani prevedono di raggiungere il primo GWh di capacità operativa – quintuplicando l’attuale – entro tre anni.
La società avrebbe voluto già investire anche in Italia, i piani per farlo sono pronti, i terreni individuati tra centro e sud Italia. Ma la burocrazia ha per ora frenato lo sviluppo. E’ stato necessario un decreto per permettere alla tecnologia di EnergyDome di partecipare alle aste pubbliche (Macse) che aggiudicano la capacità di stoccaggio, e la sussidiano con contratti a lungo termine. Ma queste aste, lamenta la società, sono state disegnate per favorire le batterie al litio cinesi. Per Spadacini “questo è un errore, non solo energetico e ingegneristico, ma anche in termini di autonomia del paese. Ci rammarica dover competere in Italia in un’asta che facilita le altre soluzioni”. Una condizione che nasce dal fatto che le batterie, assieme all’idroelettrico a pompaggio, erano finora l’unica tecnologia provata sul campo. Alla tecnologia di EnergyDome è stato garantito uno slot del 10 per cento nelle aste: troppo poco, secondo la società. Per queste ragioni, e non solo, l’azienda ha deciso di non partecipare alla prima asta di Terna del 30 settembre, che ha visto aggiudicati 10 GWh di accumulo a progetti di batterie.
Competere con il resto del mondo dall’Europa non è semplice. “A volte ci chiediamo: chi ce lo fa fare di rimanere in Italia?” ammette l’amministratore delegato. “Nel nostro paese abbiamo ottime competenze operative e realizzative, per trovare ingegneri e operai specializzati non potrei trovare un posto migliore dell’Italia”. Ma a mancare è il mercato dei finanziamenti: “Tra i nostri competitor c’è chi ha raccolto anche un miliardo di dollari; i nostri 140 milioni sono tanti per l’Italia ma pochi nel contesto globale. Se negli Usa c’è un solo mercato, in Ue ce ne sono 27 diversi. Per investirci, devi assumere 27 direttori commerciali”. Eppur, si muove.


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