Ansa

Torna a casa Edison

La francese Edf pensa alla vendita del suo principale asset in Italia

Stefano Cingolani

Sarebbe un affare per tutti: c’è gran bisogno di più energia a basso costo per ridimensionare bollette troppo care e ridurre la dipendenza dalle fonti importate

Ha illuminato Milano nel 1883 con la corrente elettrica, cominciando da piazza della Scala, mentre le altre città anche straniere accendevano ancora i lampioni a gas; è scesa dagli altari dell’industria alla polvere che ha ricoperto la Montedison; scalata dalla Fiat contro la Mediobanca nel 2001, è passata alla francese Edf. Adesso la Edison può tornare italiana anche prima di di quel che si pensi. La Électricité de France posseduta dal governo di Parigi vuole vendere il suo più importante asset nella penisola e ci sono già pretendenti di peso.

 

In lista d’attesa l’A2A, l’azienda municipalizzata bresciana diventata la prima utility italiana, quotata in Borsa con un volume d’affari che supera i 12 miliardi di euro; potrebbe essere affiancata dal fondo infrastrutturale F2i controllato dalla Cassa depositi e prestiti e dalle fondazioni bancarie. Ma sarebbe interessata anche l’Eni con la sua società Plenitude che fornisce gas e luce a famiglie e imprese. Altri investitori potrebbero partecipare soprattutto se la cessione passasse attraverso il ritorno nella Borsa dalla quale la compagnia era uscita nel 2012 quando la Edf aveva acquisito il 100 per cento della società. Nicola Monti, ad della Edison, non crede a un disimpegno della Edf, ma piuttosto a una “apertura del capitale” e la giudica positiva.

 

La Edison è un bel boccone. Ha accelerato la sua trasformazione rendendosi più attraente e profittevole. Nel 2024 le attività rinnovabili sono arrivate a rappresentare il 55 per cento del margine operativo lordo rispetto al 43 per cento del 2023. All’idroelettrica, storico punto di forza con le dighe alpine alcune delle quali risalgono a un secolo fa, si sono aggiunte l’eolica e l’energia solare che hanno consentito una riduzione dell’intensità di emissioni. La produzione da fonti rinnovabili raggiunge il 28 per cento del mix di generazione, grazie all’ulteriore incremento della produzione idroelettrica e all’entrata in esercizio di nuova capacità. Il gruppo ha chiuso il bilancio con un margine operativo lordo di un miliardo 708 milioni di euro, cento in meno rispetto al 2023 per la riduzione del prezzo del gas, un fattore che ha pesato anche nel primo semestre di quest’anno; tuttavia i ricavi sono aumentati e la Edison può vantare un robusto flusso di cassa con un basso indebitamento. 

 

Ma allora perché la Edf vuol vendere? Proprio perché la controllata italiana rende. Problemi di debiti, di scelte strategiche e conflitti politici hanno formato una miscela che è esplosa nella scorsa primavera. Il braccio di ferro tra il governo e Luc Rémont, il capo azienda (il pdg presidente e direttore generale nella tradizione francese) nominato solo due anni fa, è andato avanti per mesi. La Edf è indebitata: 54 miliardi di euro secondo le ultime stime, è vero che il fatturato è pari a 114 miliardi, ma la Corte dei conti una settimana fa ha sollevato dubbi sulla capacità di finanziamento a lungo termine. Quindi deve prendere decisioni drastiche. Rémont aveva pensato di mettere all’asta una parte dell’elettricità da nucleare (vero tesoro industriale della Edf), quella a prezzi calmierati destinata a produttori francesi. Apriti cielo. Grandi consumatori come la Saint-Gobain sono saltati su innalzando il tricolore bianco, rosso e blu, così il governo ha preso l’occasione per licenziare il pdg con il pieno consenso di Emmanuel Macron pressato e sballottato da ogni parte. La scelta è caduta su Bernard Fontana, noto come “cost killer”, ha scritto L’Echos. La sua strategia passa per il massimo di risparmi interni, razionalizzando anche la sua controllata Framatome (reattori nucleari) e tracciando una “linea rossa” per i salari. Il giro di vite non basterà quindi diventa necessario vendere degli asset, non solo i rami secchi, ma soprattutto quelli dai quali si potranno ricavare succosi frutti finanziari. 

 

La Edison dunque è tornata nel mirino. Nel giugno scorso lo ha scritto anche il Financial Times. Renato Mazzoncini, l’amministratore delegato di A2A torna a sperare, anche se con grande aplomb: “Prendiamo atto, vedremo, ogni dodici mesi esce questa notizia, sembra fatta e poi  arriva la marcia indietro”. Da tempo Mazzoncini ha espresso il suo interesse e ha dichiarato esplicitamente che la Edison deve tornare in mani italiane. La cautela è d’obbligo, ma è chiaro che il grido d’allarme della Corte dei conti costringe ad accelerare la ristrutturazione dell’Edf alla quale il governo chiede di concentrare i propri sforzi sull’atomo. C’è bisogno di enormi investimenti (si calcola 460 miliardi di qui al 2040) per rinnovare le vecchie centrali e puntare sul nucleare prossimo venturo. E’ una priorità strategica per la Francia e per l’Europa, sostiene Macron. L’Italia che non costruisce centrali, tanto meno atomiche, ma compra elettricità oltralpe, non può che dargli ragione. C’è gran bisogno di più energia a basso costo per ridimensionare bollette troppo care e ridurre la dipendenza dalle fonti importate. Il ritorno a casa della Edison potrebbe mettere d’accordo Roma e Parigi che ormai non perdono occasione per litigare.