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Il terminator di Milei. Parla il ministro Sturzenegger

Luciano Capone

Motosega per spesa pubblica e burocrazia per riformare l'Argentina. Intervista al ministro Federico Sturzenegger

Quando viene avvisato del tweet del segretario al Tesoro americano Scott Bessent che assicura di fare “tutto ciò che è necessario” per sostenere l’Argentina, Federico Sturzenegger lo legge seduto in auto con soddisfazione ma senza scomporsi. “La forza della macroeconomia argentina è l’impegno del presidente Milei sul surplus di bilancio, dopo cento di deficit fiscale. Abbiamo un regime di cambio che ci porta a una transizione verso un sistema di cambi flessibili. L’unica domanda che ci si può porre è sulla liquidità,  l’annuncio di Bessent riguarda questo e fa chiarezza, ma non esiste un problema di solvibilità”. Sturzenegger è ministro della Deregolamentazione del governo Milei e, mentre il suo paese sembrava avvitarsi in una delle sue ricorrenti crisi valutarie, era a Milano per un convegno organizzato dall’Istituto Bruno Leoni sul processo di riforme in corso in Argentina. 


Il solo annuncio dell’appoggio dell’Amministrazione Trump, poi meglio definito nei giorni successivi, ha spento l’incendio: i titoli argentini sono saliti,  il riesgo país  (lo spread) è crollato di 500 punti, il peso si è apprezzato e la Banca centrale ha arrestato l’emorragia di dollari per sostenere la valuta. Cos’è successo? “Abbiamo avuto elezioni nella provincia di Buenos Aires in cui il partito peronista ha vinto e i mercati sono diventati nervosi – dice Sturzenegger in un colloquio con il  Foglio –. E’ una situazione transitoria fino alle elezioni di ottobre, dopo sarà tutto più chiaro”. Il 26 ottobre l’Argentina andrà al voto per rinnovare  metà del Congresso e  un terzo del Senato, ma si tratta soprattutto di un test di metà mandato per Javier Milei. 


Il presidente libertario  aveva ereditato dal governo di Alberto  Fernández un paese sull’orlo del default e dell’iperinflazione, così ha avviato un programma radicale di riforme e riduzione della spesa pubblica che ha ottenuto successi notevoli e inaspettati: aggiustamento fiscale da 5 punti di pil e surplus fiscale nel primo mese di governo, riduzione dell’inflazione dal 25,5 per cento  all’1,9 per cento mensile, riduzione della povertà dal 41,7 per cento a fine 2023 al 31,6 per cento nel primo semestre 2025, rimbalzo del pil del 6,1 per cento nella prima metà del 2025. Poi qualcosa si è inceppato: l’economia ha tirato il freno a mano, la mancata accumulazione di riserve da parte della Banca centrale è diventato un problema,  i tagli alla spesa pubblica hanno iniziato a mordere e alcuni scandali di corruzione hanno colpito l’immagine del governo. Il risultato nella provincia di Buenos Aires è arrivato come una doccia gelata: il governo ha nazionalizzato il voto aspettandosi una vittoria di misura nel bastione peronista, ma ha subìto una pesante sconfitta con 14 punti di differenza. Gli investitori, allarmati da una probabile sconfitta di Milei a ottobre, hanno iniziato a vendere tutto ciò che fosse argentino.


E’ difficile tenere insieme la fiducia dei mercati e il consenso delle persone, eppure per stabilizzare l’economia servono entrambi. “Non penso siano in contraddizione – dice Sturzenegger –. Il simbolo di Milei è la motosega: raggiungere il surplus fiscale tagliando la spesa pubblica. Ha fatto campagna su questo e ha vinto, lo ha promesso e lo sta facendo. Ed è una politica molto popolare in Argentina, perché ogni peso che il governo spende è una tassa  che pagano i cittadini”. Questa identità è soprattutto vera per un paese  che non ha accesso ai mercati internazionali per finanziare il debito pubblico, dice il ministro. “Milei ha ridotto la spesa pubblica del 30 per cento, smesso di finanziare il deficit stampando moneta e ridotto l’inflazione. E questo ha fatto uscire 12 milioni di argentini dalla povertà. Non c’è conflitto tra sostenibilità fiscale e consenso politico, perché gli argentini sono stufi di vivere con l’inflazione al 200 per cento”.


Sturzenegger, che è un economista,  era a Milano per una lezione alla SDA Bocconi. Conosce molto bene Francesco Giavazzi, i cui lavori insieme ad Alberto Alesina mostrano come un consolidamento fiscale fatto tagliando la spesa pubblica abbia effetti più espansivi di un consolidamento fiscale fatto aumentando le imposte. La politica fiscale del governo argentino sembra ispirata dai loro studi. “Sì, il presidente ha citato recentemente Alesina in un discorso a Cordoba – dice Sturzenegger -. Milei dal punto di vista politico ha ridefinito il dibattito fiscale in tre dimensioni. Primo, quanto veloce e quanto profondo può essere un aggiustamento. Secondo, non è vero che un aggiustamento fiscale è per forza recessivo: se tagli la spesa stai riducendo le tasse e  fai crescere il settore privato, che spende e investe. In un anno di aggiustamento fiscale, l’economia argentina è cresciuta del 6 per cento. E questo perché da un lato si spostano risorse dalla spesa pubblica verso usi più produttivi, dall’altro perché in Argentina abbiamo tagliato una tassa estremamente distorsiva come l’inflazione. Terzo, si pensava che l’aggiustamento fosse politicamente costoso e invece è un bonus politico”.


I discorsi sulla riduzione ai minimi termini dello stato e sull’allargamento quanto più possibile del mercato sono analoghi a quelli del presidente anarco-capitalista, ma Sturzenegger ha un profilo intellettuale diverso da quello di Milei. Ha ottenuto il PhD al Mit, il tempio del pensiero neo-keynesiano, formandosi con economisti come Krugman, Blanchard, Dornbusch, Solow, Aghion, Tirole... non esattamente dei pasdaran del  mercato come quelli che c’erano a Chicago. “Sono sempre stato uno che crede nel libero mercato – dice il ministro della Deregulation –. Ma dal punto di visto pratico sono diventato sempre più convinto dell’inutilità e del costo di molta regolamentazione. Il regolatore passa il tempo a pensare a tutte le cose terribili che possono succedere se le persone sono libere, ma non pensa a tutte le opportunità che uccide con la burocrazia. Invece la deregulation è una politica a favore delle pmi, perché la burocrazia è un costo fisso che le grandi imprese possono affrontare mentre i piccoli no. E poi è anche una politica anti-corruzione, perché riduce le opportunità di tangenti. Si pensa che la regolamentazione sia il risultato delle buone intenzioni di un pianificatore sociale, ma spesso è la conseguenza di lobbying per ridurre la concorrenza e proteggere determinati interessi”. 


L’economista  cita un caso concreto, quello di una grande conglomerata della comunicazione che aveva ottenuto dal governo argentino il divieto di internet satellitare. “Ma l’Argentina è un paese molto esteso e con poca densità abitativa, non ha alcun senso economico  spendere miliardi di dollari pubblici per portare la fibra ottica ovunque. Milei ha bloccato la spesa e tolto il divieto: oggi l’internet satellitare di Starlink ha 250 mila clienti in un paese di 10 milioni di famiglie. Abolendo un divieto, puoi avere insieme aggiustamento fiscale e internet per tutti”. La desregulación è, insieme al superávit, la seconda grande idea del piano di trasformazione dell’economia argentina per introdurre concorrenza, innovazione e crescita. I numeri sono impressionanti. Dall’inizio  dicembre 2023, inizio del mandato,  fino ad agosto 2025 il governo Milei ha varato oltre 340 provvedimenti di deregolamentazione che hanno cancellato o modificato 8.935 articoli (circa 14 al giorno) nei settori più disparati: agroalimentare, commercio, trasporti, energia, sanità, medicinali, comunicazione, affitti... Ma l’aspetto più interessante è il metodo. Sturzenegger, all’epoca professore universitario, ha iniziato a lavorare due anni prima delle elezioni presidenziali con un piccolo team di economisti e giuristi per catalogare tutta la legislazione argentina in leggi da mantenere, leggi da abrogare e leggi da modificare. E il gruppo, con l’aiuto di specialisti di ogni settore, aveva già preparato un provvedimento dettagliato su come modificare le leggi, in modo da poter agire rapidamente nei primi giorni di governo. “Come fai a muoverti in questo infinito? Un metodo è aprire la mail e chiedere alle persone di dirti cosa non funziona, quale legge impedisce di fare business. Un altro metodo è guardare ai differenziali di prezzo: se qualcosa in Argentina costa il triplo che in Italia, allora c’è una distorsione su cui intervenire. Le persone mi hanno scritto storie incredibili”.  Quella che racconta più divertito è di un produttore di angurie, che lamentava il fatto che l’agenzia nazionale gli imponesse di imballare le angurie in un determinato modo, che però non era quello desiderato dal suo cliente: la soluzione trovata dall’imprenditore per poter esportare era imballare le angurie come richiesto dal governo e, una volta fuori dal porto, inviare un’altra barca con degli operai che   riconfezionassero le angurie come voleva il cliente. “Quando ho letto la mail ho detto al mio team: deve essere per forza vero, perché se uno provasse inventarselo non potrebbe immaginare una cosa così assurda – dice sorridendo –. Sono diventato molto più scettico sul ruolo dello stato, ma non sono dogmatico. Ci sono aree dove servono lo stato e la regolamentazione. Non siamo guidati da una cieca ideologia, guardiamo caso per caso”.


Nel pendolo della politica argentina, Sturzenegger ha fatto parte di due governi anti-peronisti che hanno tentato di riformare il paese, sotto la presidenza di Mauricio Macri è stato governatore della Banca centrale, ma con esito negativo. C’è qualcosa che ha imparato dai fallimenti? “L’Argentina sembra un paese instabile: crisi economiche, inflazione, proteste in strada, instabilità politica... ma in realtà è uno dei paesi più stabili al mondo. Ha una struttura politico-economica immobile. E’ un triangolo  formato da: sindacati, che hanno molti privilegi; élite industriale, che è protetta;  partito peronista, che è il braccio politico che gestisce il sistema.  E’ il triangolo delle Bermuda in cui stava affogando il nostro paese. Quello che ho imparato dalle esperienze passate è che non basta avere un governo di persone capaci e con buone intenzioni, se non rompi questo sistema di potere”. E come si fa? “Devi minare l’architettura legale che sostiene il potere economico di questo triangolo e gli consente di perpetuarsi. E’  su questo che abbiamo iniziato a lavorare due anni prima. La lezione che ho imparato è che le riforme devono cambiare la struttura del potere economico”. E una visione marxista. “Abbiamo inventato il marxismo-libertario – dice sorridendo –. Sono le relazioni economiche che danno forma al potere”.


Nella regione latinoamericana ci sono state diverse stabilizzazioni di successo, attraverso un percorso lungo 10-20 anni che però ha goduto di un consenso di fondo. Dal Cile al Brasile, passando per l’Uruguay, l’alternanza di governo non ha messo in discussione le casi macroeconomiche. L’Argentina ha invece un ciclo politico cortissimo, in cui ogni due anni c’è una guerra dei mondi tra visioni inconciliabili. Come può venirne fuori? “Il messaggio di Javier sulla responsabilità fiscale è stato molto forte e penso che gli argentini lo apprezzano. Nelle ultime settimane il partito peronista ha promosso leggi di spesa che minano l’equilibrio fiscale, è una mossa elettorale per danneggiare il governo, ma non penso che verrà premiata dagli elettori”. Ci sono altre questioni che possono avere un costo elettorale, come il caso di presunta corruzione che coinvolge Karina Milei, sorella e braccio destro del presidente. Gli argentini hanno votato Milei proprio per porre fine ai decenni di corruzione del kirchnerismo. “Non do alcun valore a questi audio e a queste accuse, ma se ne occuperà la giustizia che lasciamo investigare e se ci sono dei responsabili vanno puniti, chiunque essi siano. E’ un bene che gli elettori chiedano a noi uno standard superiore, ma spero che lo chiedano anche agli altri”. 


Alla fine, il vostro progetto politico si basa su una scommessa: che le persone preferiscano la libertà alla protezione. Ma siete sicuri che gli argentini faranno questa scelta? “Con il presidente discutiamo spesso di questo, anche filosoficamente. La ricerca di protezione è un istinto naturale, l’uomo sin dall’inizio ha avuto uno sviluppo cognitivo basato sull’avversione al rischio. E pertanto la libertà può creare nelle persone una sorta di vertigine. Ma nel caso dell’Argentina questo sistema statalista per troppo tempo ha promesso diritti e consegnato povertà, ha talmente fallito che la gente non vuole comprare più questa merce e vuole provare una cosa diversa. Noi dobbiamo dimostrare che il nostro modello funziona: l’inflazione sta scendendo, stiamo andando verso un regime di cambi flessibili, la povertà sta diminuendo, l’economia ha recuperato... ma è un processo ancora aperto”.


Ha parlato diverse volte del partito peronista, che da decenni domina la scena politica dell’Argentina. Per gli europei è una cultura politica difficile da capire e da inquadrare nelle definizioni di destra e sinistra. Che cos’è il peronismo? “Hai presente il Piccolo Principe? All’inizio della storia il bambino chiede al pilota ‘Mi disegni una  pecora? Lui la disegna, ma non gli piace: è troppo grande. ‘Ne disegni un’altra?’. La fa, ma al bambino non piace: ha le corna. Poi un’altra è troppo piccola. Alla fine il pilota disegna una scatola e gli dice: la pecora è qui dentro. Com’è? ‘Ah, è perfetta!’. Ecco, il peronismo è  la scatola: ci puoi vedere dentro quello che vuoi. Ma in realtà è il gestore dello status quo. E Milei è venuto a smantellare tutto questo”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali