
Dentro il tesoretto
Che cosa vuole fare il governo con i soldi a disposizione sulla manovra
Irpef: 3 miliardi. Energia: 2 miliardi. Restano i nodi di spesa militare e pensioni, mentre il Tesoro punta su gettito, spending review e Pnrr per rispettare i vincoli europei
La prossima manovra nasce con un vincolo politico semplice e un equilibrio tecnico complicato: proseguire nella riduzione del deficit concordata con l’Europa e, insieme, dare un segnale al lavoro e ai consumi senza sfilacciare i conti. Il “tesoretto” che il Mef può mobilitare – tra migliori entrate e margini nella cornice di finanza pubblica – è nell’ordine di 8-10 miliardi. Non è molto, ma basta a disegnare un intervento “macro-protettivo”: pochi capitoli, mirati, con la barra dritta sui saldi.
La ripartizione delle risorse che risulta al Foglio è netta. Circa 3 miliardi andranno sull’Irpef per alleggerire la seconda aliquota dal 35 al 33 per cento fino a 50 mila euro (e non fino a 60 mila, come nell’ipotesi iniziale). È il tassello identitario della maggioranza: un beneficio percepibile da lavoratori e autonomi a reddito medio, non solo “ceto medio” in senso sociologico, con un impatto limitato ma visibile su busta paga e fiducia.
Due miliardi sono destinati alla riduzione delle bollette. La soluzione più praticabile, mentre l’energia resta volatile, è agire sugli oneri di sistema e sul prelievo fiscale: uno strumento già utilizzato che consente di sterilizzare gli scossoni senza compromettere il profilo di rientro dei conti. Il nodo politico è duplice: durata della misura e sostenibilità nel quadro europeo, perché ogni decimale di deficit impegnato qui è un decimale in meno per il resto. Circa 1,5 miliardi copriranno un nuovo round di rottamazione delle cartelle. Non un condono, nelle intenzioni, ma una gestione straordinaria degli arretrati per aumentare gli incassi effettivi e ridurre il contenzioso.
L’esperienza recente dice che operazioni più selettive e con tempi certi migliorano la cassa ma possono alimentare l’azzardo morale. Resta tuttavia il trade-off: cassa oggi contro minore disciplina domani.
Il punto più sensibile è la Difesa. L’Italia ha impegni di rafforzamento strutturale della spesa militare, ma non è ancora chiaro se una quota potrà essere “trattata” con maggiore flessibilità a livello europeo. In assenza di una decisione condivisa, una parte degli stanziamenti potrebbe dover entrare a bilancio pieno, erodendo margini per sanità, contratti pubblici e politiche sociali. È la variabile che può cambiare la fisionomia della manovra nelle prossime settimane.
Per tenere insieme obiettivi e vincoli, il Tesoro conta su tre leve: il buon andamento del gettito sostenuto dall’occupazione elevata; una spending review mirata con riordino degli incentivi meno efficaci; l’avanzamento del Pnrr, che ancora nel 2025 spinge investimenti pubblici e privati. Obiettivo dichiarato: consegnare ai mercati un percorso di deficit in discesa credibile e un debito stabilizzato, per poter ottenere un miglioramento del rating e una riduzione dello spread e della spesa per interessi. Resta l’incognita del blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aumento dell’aspettativa di vita, che è stato annunciato dal ministro Giorgetti ma è molto oneroso (3 miliardi) e va contro la gestione prudente dei conti tenuta finora.
Tradotto: la manovra sarà sobria e con pochi fronzoli. Un taglio Irpef per dare ossigeno ai redditi medio-alti, un cuscinetto sulle bollette per proteggere potere d’acquisto e competitività, una gestione pragmatica degli arretrati fiscali per fare cassa senza strappi. La scommessa politica è che un intervento mirato, sommato a Pnrr e investimenti, basti a tenere il paese sul binario della crescita rispettando i guardrail europei. La scommessa tecnica è che la realtà – inflazione, energia, tassi, dazi – non presenti il conto nel momento meno opportuno.


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