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La legge che mette in crisi

La pazza legge di Urso e Lollobrigida contro il Made in Italy che ha messo in crisi il settore olivicolo

Luciano Capone

Sei ore per consegnare le olive: così il provvedimento pone i frantoiani di fronte a complessità logistiche difficili da risolvere. E nemmeno al ministero sanno come affrontare

Se nelle prossime settimane vedrete sfrecciare dei camion per  strade e autostrade, sono quelli che trasportano olive. Devono fare in fretta: hanno l’obbligo di consegnare le olive al frantoio entro sei ore dall’acquisto. Perché così ha stabilito il governo nella legge sulle “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy” voluta dal ministro delle Imprese Adolfo Urso. Ma il problema è che, anziché valorizzare il made in Italy, la legge lo sta affossando. Il settore olivicolo è in enorme difficoltà. La norma, voluta dalla Coldiretti/Unaprol, aveva l’intenzione di aumentare la trasparenza e valorizzare il prodotto locale riducendo la possibilità di truffe. Il problema, però, è che così riduce la possibilità di produrre e di consegnare le olive in tempo.

A parte Coldiretti, il resto della filiera è in subbuglio perché la norma è ritenuta inapplicabile ovvero impossibile da rispettare. Basti considerare quali sono i tempi di carico e scarico, le percorrenze per arrivare al frantoio con i rischi di trovare traffico o code alla consegna nei momenti di picco della stagione olivicola. In molti protestano con il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Confagricoltura/Unapol segnala gli stessi problemi aggiungendo che ci sono casi specifici in cui la selezione per la calibratura delle olive richiede tempi molto più lunghi delle sei ore imposte dalla legge come termine assoluto. Italia Olivicola (Cia – Agricoltori italiani) dice che la norma colpisce “i frantoi del centro-nord” che “sarebbero impossibilitati ad acquistare le olive da Puglia Calabria e Sicilia, con il rischio di un eccesso di offerta in queste regioni”. In pratica, i produttori si troverebbero prigionieri dei frantoi più vicini, che conquisterebbero una sorta di monopolio territoriale.

Ma anche l’associazione nazionale dei frantoiani (Aifo) parla, in una lettera la ministero, di “conseguenze estremamente gravi”:  la restrizione della libertà di mercato farebbe fuori i frantoi lontani dai luoghi di produzione, che magari si sono specializzati nel lavorare alcune cultivar. Si tratta di una norma  anticoncorrenziale (chissà cosa ne pensa l’Antitrust) che per giunta danneggia il Made in Italy, rendendo la vita impossibile a tutta la filiera. La norma è in molti tratti assurda e illogica: secondo una guida del ministero, infatti, l’obbligo delle sei ore si applica solo ai commercianti e non ai frantoi e agli olivicoltori. Ma gli olivicoltori che comprano olive dagli altri agricoltori per aggiungerle alle proprie si trasformano in “commercianti” con relativo obbligo di sei ore, mentre questo non vale per i frantoi anche se acquistano e vendono olive. In ogni caso, anche i frantoiani sono contrari a quest’obbligo assurdo.

Al ministero dell’Agricoltura sono consapevoli del problema, ma non sanno bene come uscirne. Perché la norma, introdotta con decreto ministeriale a settembre 2024, è entrata in vigore a partire dal 1 luglio 2025. Una provvedimento interpretativo non pare in grado di poter superare l’ostacolo insormontabile delle sei ore. Ma neppure un nuovo decreto ministeriale che allunghi il termine orario per la consegna, perché l’obbligo delle sei ore è impresso nella legge (che è una norma superiore). Quindi una possibilità è quella di fare un nuovo decreto ministeriale che sospenda per un anno il decreto ministeriale in vigore, e nel frattempo modificare la legge in Parlamento. Oggi è prevista una riunione al ministero dell’Agricoltura per trovare una soluzione: il governo ha pochi giorni per salvare la campagna olivicola  2025-26 messa a repentaglio dal governo. A beneficiarne sarà anche la sicurezza stradale

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali